Cronache dello scontro tra "barbari" e Occidente (che dura da 2500 anni)

L'attualità dei classici: la riedizione delle "Storie" di Erodoto offre una lezione politica sull'oggi

Cronache dello scontro tra "barbari" e Occidente (che dura da 2500 anni)

Leggere Erodoto è una esperienza che consiglio a tutti. Sia quando parla dei suoi viaggi, sia quando parla di imperi, eserciti, battaglie, lo storico greco vissuto nel V secolo a.C. ha una voce fresca, coinvolgente, in grado di mostrarci aspetti eterni dello spirito dei luoghi e dell'anima umana. Ne ebbi un assaggio tanti anni fa quando, in partenza per l'Egitto e senza avere avuto il tempo di documentarmi e di comperarmi guide adeguate, misi in valigia il libro II delle Storie, che avevo sotto mano. Con sorpresa, mi accorsi viaggiando che Erodoto mi stava accompagnando dalle piramidi ad Assuan e all'isola di Elefantina fornendomi tutti gli elementi essenziali per capire in profondità quello che stavo vedendo. Ed ora mi sono imbattuto ancora in Erodoto (Le Storie, libro VII, «Serse e Leonida», Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, testo greco a fronte; pagg. CIV-610, euro 35) e ancora una volta le sue pagine mi hanno stregato per la loro forza epica ma ancora di più per la loro attualità.

Il libro dedicato a Serse e a Leonida ci offre una lezione politica mostrandoci lo scontro tra un immenso impero dominato dalla autocrazia e immerso nella magia, la Persia, e una piccola terra popolata da uomini che mettono al centro del loro operare la ragione e non accettano di prosternarsi davanti a un imperatore: la Grecia. Lo scontro è uno scontro di civiltà: l'assolutismo contro la democrazia, anche se Leonida, il massimo nemico che Serse trova sulla sua strada, è uno spartiate aristocratico discendente di Eracle. Erodoto adotta il punto di vista greco, ma non ha mai disprezzo per i nemici, li prende sul serio al punto che Plutarco, secoli dopo, lo chiamò «filobarbaro». Le pagine dedicate a Serse e alla sua corte sono tra le più affascinanti del libro. Il racconto dell'assemblea che il sovrano indice tra i persiani eminenti per annunciare la guerra alla Grecia ci rivela i sentimenti e le passioni individuali che determinano tante scelte nella storia: Serse, il cui padre Dario è stato sconfitto dai Greci a Maratona, è mosso dalla volontà di «vendetta e punizione» ancora prima che da quella di portare «i confini della terra persiana sino al cielo di Zeus».

Oggi nessuno storico si soffermerebbe sui moventi privati che hanno spinto Bush jr. ad attaccare l'Iraq o Putin ad annettere la Crimea, eppure chi può escludere che abbiano avuto un ruolo nelle loro decisioni? Serse ascolta in assemblea Mardonio, che lo lusinga denigrando volgarmente i Greci: più saggio è Artabazane che lo mette in guardia mostrandogli, dei Greci, le grandi virtù. Una volta decisa la guerra, e raccolto un esercito che finirà per contare più di cinque milioni di soldati, Serse incontra in Lidia il ricchissimo Pizio, che si offre spontaneamente di finanziare la spedizione dell'imperatore. Poi, chiederà in cambio che il suo primogenito sia esentato dal combattere. Sono anche queste attitudini che hanno varcato il muro dei secoli e proliferano da noi: accattivarsi il potente sparlando a vanvera dei suoi avversari, aprire il portafoglio al potente per avere in seguito dei benefici personali o familiari. Certo, altre reazioni appartengono a una cultura crudele e superstiziosa, che Erodoto condanna. Quando il mare fa crollare in una tempesta i ponti costruiti per il passaggio del suo esercito, Serse ordina di comminare trecento frustate alle onde, e di decapitare i costruttori. E il povero Pizio ottiene non che suo figlio sia esentato dalle armi, ma che sia tagliato in due parti, messe ai due lati della strada dove sfila l'esercito. La guerra viene preceduta da una schermaglia diplomatica: Serse manda araldi ad Argo per indurre i Greci ad accettare pacificamente il suo dominio, i Greci vanno a chiedere aiuto a Gelone di Siracusa, che in cambio chiede il comando delle operazioni, di terra o almeno di mare: che Spartani e Ateniesi gli rifiutano. Infine, l'immenso esercito persiano, in cui entrano tutti i popoli dell'Asia, sino agli Arabi, agli Assiri, agli Indi, arriva al passo delle Termopili, uno stretto passo tra le montagne dove i Trecento di Leonida lo aspettano per resistere a oltranza. Serse non capisce come osino in così pochi sfidarlo, manda osservatori a cavallo, e questi lo stupiscono riferendogli che gli Spartani stanno facendo ginnastica o acconciandosi i capelli. La prima carica dei Medi fallisce. E ne falliscono altre due dei Persiani. Leonida e i suoi, con le loro lance lunghe, infliggono grandi perdite agli uomini di Serse. Poi, viene trovato il modo di aggirare il passo delle Termopili, e allora agli Spartani non resta che soccombere combattendo sino all'ultimo.

La testa di Leonida viene tagliata e ostentata su una lancia persiana. Ma la gloria sua e dei suoi uomini non deve attendere: Simonide di Ceo, loro contemporaneo, detta subito i suoi versi immortali: «Di quelli che son morti alle Termopili/ la sorte è gloriosa, bello il destino...».

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