"Curon", cosa salvare e cosa no della nuova serie italiana di Netflix

Dinamiche adolescenziali, sfumature horror e misteri la fanno da padrone in un prodotto i cui numerosi difetti realizzativi non oscurano i richiami a una profondità preziosa

"Curon", cosa salvare e cosa no della nuova serie italiana di Netflix

​Nel 1950 Curon, un paese dell’Alto Adige, venne distrutto e trasformato in lago artificiale per consentire la produzione di energia elettrica. Ne resta oggi solo il campanile della chiesa di Santa Caterina, che spunta dal lago e rende lo specchio d'acqua, incastonato tra prati incontaminati e folti boschi, un incanto visivo di rara bellezza.

Questo luogo è l'ambientazione scelta per la quinta serie italiana che Netflix renderà fruibile da oggi in tutto il mondo. Curon, opera a metà strada tra il thriller con venature horror e il teen-drama fantasy, ha un'immagine di presentazione, quella iconica del campanile per metà sommerso, che già rivela siamo alle prese col rapporto tra il visibile e l'invisibile.La narrazione inizia con una giovane donna, Anna (Valeria Bilello), che, in fuga dal marito, si rifugia nel paese natale assieme ai figli gemelli, Daria (Margherita Morchio) e Mauro (Federico Russo). Tornare a Curon significa per lei fare i conti nuovamente con un evento traumatico avvenuto quando era appena una ragazzina. Una volta convinto il proprio burbero e anziano padre, Thomas (Luca Lionello), a dar accoglienza a lei e ai ragazzi, la strada per integrarsi nella comunità resta in salita. Per la popolazione locale Anna, Daria e Mauro non sono i benvenuti: i tre discendono da chi ebbe il potere decisionale di far sommergere il vecchio paese e, come se non bastasse, in concomitanza del loro arrivo iniziano a succedere cose strane. La situazione peggiora quando Anna scompare nel nulla. I figli, per ritrovarla, si vedranno costretti a indagare sul passato della propria famiglia e sui tanti misteri di Curon.

Nella serie è tutto un sussurrare di presenze e maledizioni. Qui ci si difende dall'angoscia con vie di fuga diverse, in base all'età: i ragazzi fumano erba, i grandi ricorrono all'oppio dei popoli, ossia a un uso distorto della religione. In paese, infatti, va alla grande il piccolo spaccio fuori da scuola, mentre gli adulti sono assorti nell'organizzare riti pagani di piazza qualora le icone sacre disseminate ovunque non bastino a sentirsi protetti. Sono comportamenti atti, dicono loro, a "liberare dalle ombre" e, indipendentemente dal significato che ha nella trama, la connotazione psicologica della frase è affascinante.

La metafora dei due lupi che fa da input al racconto, nota e senza tempo, allude alla presenza nell'uomo di due istinti, uno al Bene e uno al Male, e al fatto che si consolidi la propensione che viene nutrita. A questo proposito, l'esemplare di lupo chiuso in gabbia da Thomas con l'intento di piegarlo alla cattività, suggerisce un assioma valido per la quasi totalità delle creature viventi: la repressione aumenta la ferocia.

Nell'affrontare il tema dell'identità e del doppio, Curon esplora la necessità, per ognuno, di integrare le proprie contraddizioni, perché solo l'equilibrio scongiura il trovarsi faccia a faccia col nostro lato oscuro.
La natura qui è un personaggio potente, soprattutto nella sua declinazione in notturno boschivo, con tutti i rischiami favolistici che implica, e bacino lacustre. Ed è madre nel senso di luogo gestante, in cui le paure vanno letteralmente a incarnarsi.

Tutte queste suggestioni purtroppo non sono indicative della qualità del prodotto nel suo insieme. La fotografia dai toni freddi funziona, ma il montaggio appare talvolta maldestro e il livello recitativo è altalenante. Ci vuole poco a scivolare nella sciatteria se i due gemelli milanesi protagonisti sono interpretati da attori che mal celano l'accento del centro-sud Italia. La colonna sonora, poi, troppo invadente, depotenzia paradossalmente alcune scene (da "carica" a "caricaturale" il passo è breve). Per scandire il terrore si può fare molto di più con molto di meno, come nell'efficace rintocco spettrale di campane inesistenti che in vari episodi è presagio di sventura.

Insomma, anche la quinta serie italiana prodotta da Netflix non sembra avere la caratura necessaria a fare breccia su un pubblico internazionale.

L'obiettivo di fidelizzare lo spettatore però è centrato: si ha la curiosità di arrivare all'ultimo episodio.

(Per chi voglia ripercorrere la storia della distruzione del paese originario di Curon, si consiglia il romanzo di Marco Balzano, "Resto qui", uscito due anni fa).

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