Cultura e Spettacoli

Cypkin puntò tutto su Dostoevskij e vinse la sua battaglia per la libertà

Il demone del gioco piegò Fëdor, quello del comunismo tormentò Leonid

Cypkin puntò tutto su Dostoevskij e vinse la sua battaglia per la libertà

Se la cerchi in rete, sotto il nome, il patronimico e il cognome leggi: «Stenografa». La voce di Wikipedia, dopo una riga le concede l'onore di chiamarla «memorialista e curatrice delle opere del marito». Anna Grigor'evna Snitkina, coniugata Dostoevskaja, il marito lo conobbe quando aveva da pochi giorni compiuto vent'anni, nell'ottobre del 1866. In qualità, appunto, di stenografa. Perché Fëdor Michájlovic doveva sbrigarsi, a consegnare il suo nuovo libro all'editore Stellovskij: se non lo avesse fatto entro fine mese, l'1 novembre Stellovskij si sarebbe preso tutti i diritti delle sue opere. In altre parole, lo avrebbe ucciso. Invece Anna Grigor'evna lo salvò da un nuovo patibolo, dopo quello su cui era salito il 19 dicembre del '49, da simpatizzante del circolo liberal-socialista di Petraevskij-Butaevic, e da cui lo fece scendere all'ultimo momento lo zar Nicola I, commutando la pena dalla morte ai lavori forzati a tempo indeterminato in Siberia.

Così, le mani di Anna estrassero dalla mente e dalla voce di Fëdor Il giocatore. In Dostoevskij mio marito lei ricorderà: «Ci appassionavamo entrambi alla vita dei personaggi e sia io, sia Fëdor Michájlovic avevamo le nostre preferenze e le nostre antipatie. La mia simpatia andava alla nonna che aveva perduto al gioco tutto il suo patrimonio, e a Mister Astley, mentre disprezzavo Polina e il protagonista stesso, cui non potevo perdonare la debolezza di carattere e la passione per il gioco. Fëdor Michájlovic, invece, era totalmente dalla parte del giocatore e sosteneva che molti dei suoi sentimenti e delle sue impressioni li aveva sperimentati di persona. Mi assicurava che si può avere un carattere forte, darne prova in tutto il resto e non essere capace di vincere la passione per la roulette». Quattro mesi dopo lo scampato pericolo, Anna e Fëdor, vedovo da tre anni di Marya Dmitrievna, si sposano e subito partono per un lungo viaggio di nozze nell'Europa occidentale. Durante il quale, ovviamente, lui si tuffa nuovamente nel gorgo dell'azzardo, soprattutto a Baden-Baden, che nel Giocatore era diventata la fittizia Roulettenburg.

L'Estate a Baden-Baden di Leonid Cypkin (riproposto da Neri Pozza, pagg. 224, euro 16, traduzione di Margherita Crepax) è proprio quella estate del 1867 vissuta da Anna e Fëdor. E molto altro. Cypkin, nato a Minsk nel 1926, non conobbe di persona i patiboli eretti in difesa dello zar, ma gli effetti devastanti del loro corrispettivo comunista: il Grande Terrore staliniano. Di famiglia ebraica, il padre Boris nel '34 fu arrestato e un fratello e due sorelle furono assassinati dall'Nkvd. Inoltre nel '41, durante l'invasione nazista, nel ghetto di Minsk morirono sua madre, un'altra sorella e due nipotini. La successiva laurea in Medicina e la conseguente brillante carriera di oncologo non bastarono a curare le ferite interiori di Leonid. Così decise di rafforzare la terapia con la scrittura: poesie e novelle rimaste tutte nel cassetto. E soltanto nel '77, dopo che il figlio Michail e la nuora Helena riuscirono a emigrare negli Stati Uniti, cominciò a lavorare, raccogliendo documenti e scattando fotografie, all'opera su Dostoevskij.

Il 13 marzo 1982 uscì sulla Novaja Gazeta, settimanale degli emigrati russi edito a New York, la prima puntata di Estate a Baden-Baden. Una settimana dopo, il 20 marzo, Cypkin morì a Minsk per un attacco di cuore. Il suo libro è un atto d'amore nei confronti di Fëdor Michájlovic, di Anna Grigor'evna e della Letteratura, fra le scaramanzie del primo (i 1457 passi da contare nel tragitto dalla casa al casinò perché quel numero, diceva, gli portava fortuna) e la devozione della seconda, la gelosa alterigia di Turgenev (che ai compagni di gioco presentava Fëdor come «ex ingegnere») e i demoni che si materializzano ora nelle fiches, ora nella malattia, ora nel disprezzo per i tedeschi e gli ebrei.

Ed è anche l'autobiografia di un uomo vissuto, dal primo all'ultimo giorno, sotto il tallone sovietico, e che dal confino del conseguente sottosuolo lanciò un messaggio di impegno e dignità.

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