Cultura e Spettacoli

"Dall'arte all'islamismo. Così un giovane pittore può diventare jihadista"

Il romanzo di un giudice dell'antiterrorismo francese sulla radicalizzazione in Tunisia

"Dall'arte all'islamismo. Così un giovane pittore può diventare jihadista"

Marc Trévidic è un giudice francese dell'antiterrorismo. Ha scritto saggi sul terrore, le sue reti, le sue strategie. Ora il jihad è protagonista del suo primo romanzo Ahlam, che in Francia è stato un successo e in Italia è pubblicato da Rizzoli (pagg. 238, euro 18): storia di due fratelli che seguono strade opposte nella Tunisia degli anni Duemila, da Ben Ali alla primavera araba. La sorella, Ahlam (in arabo «i sogni»), crede nel progresso e si impegna nella rivoluzione; il fratello, Issam, finisce reclutato dagli islamisti. Trévidic racconta proprio come avviene la radicalizzazione di un giovane, che abbandona tutta la sua vita, la sua famiglia e la passione per la pittura (che è proibita).

Perché ha ambientato il suo romanzo in Tunisia?

«Anche se la Francia è stata duramente colpita dal terrorismo, è bene ricordarsi che ci sono dei Paesi ancora più esposti. Questo Paese è emblematico dello strappo che il fanatismo religioso può portare. La Tunisia è spaccata in due tra una tradizione laica molto forte, con la parità uomo-donna, nata dagli anni di Bourghiba e una islamizzazione importante di una parte delle sue giovani generazioni».

Dal regime alla rivoluzione, fino alla presa del potere da parte degli islamisti: pensa che la Tunisia sia tornata indietro?

«La Tunisia è molto caratteristica dello scontro tra l'islam politico dei Fratelli musulmani e il salafismo jihadista, fra coloro che vogliono prendere il potere attraverso le elezioni e coloro che vogliono prenderlo direttamente attraverso le armi. L'obiettivo finale nei due casi è l'applicazione della sharia. Sono i mezzi che sono diversi. Ennahda non è riuscito a imporre la sharia cambiando la costituzione, ciò che permette ai salafiti di affermare che il loro metodo violento è l'unico efficace. Di fatto, la resistenza della società civile tunisina, in particolare delle donne, ha impedito a Ennahda di raggiungere il suo scopo, tanto che non si può parlare di un ritorno indietro ma piuttosto di una situazione molto incerta. Soltanto l'avvenire ci dirà se il sogno tunisino di instaurare una democrazia in un Paese musulmano possa realizzarsi».

Il protagonista Issam viene da una famiglia libera e indipendente: la radicalizzazione può avvenire in qualunque contesto?

«Constatiamo tutti i giorni che giovani educati in ambienti aperti e anche laici si possono radicalizzare. Coloro che reclutano adattano i loro discorsi in funzione dell'individuo da reclutare. La prima condizione è quella di isolare l'individuo dal suo ambiente naturale. È necessario che si stacchi progressivamente da quello che era, dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalle sue passioni. È necessario che detesti quello che era prima e dunque, nel caso di Issam, è necessario portare un pittore a detestare la pittura».

Qual è il ruolo del carcere?

«La prigione è un luogo ideale per reclutare. Il giovane è rinchiuso, quindi disponibile all'ascolto e anche in posizione di fallimento e debolezza: quindi è facile fargli balenare una vita più interessante e valorizzante rispetto alla sua».

Uno degli aspetti cruciali dell'attività del gruppo di Issam è l'attenzione a nascondere le proprie intenzioni.

«L'arte della dissimulazione è importante nel discorso jihadista quando il rapporto di forza non è favorevole. La preparazione di un attentato necessita di non attirare l'attenzione e dunque di mischiarsi con la popolazione, fino ad adottare in apparenza il modo di vita europeo per quanto riguarda i vestiti, l'alcol, le relazioni col sesso opposto».

Il gruppo di Issam ha come obiettivo gli artisti. Perché l'arte è nel mirino degli islamisti?

«L'arte è l'espressione dell'individuo. Le dittature, che siano religiose o laiche, non amano l'individualismo e ancor meno la sua espressione artistica. Hanno bisogno di avere una mandria, una comunità i cui membri non si differenzino gli uni dagli altri e pensino tutti allo stesso modo. D'altronde l'arte è una espressione del desiderio, spesso di un desiderio del sesso opposto. Gli islamisti sono dei puritani che vogliono vietare tutto ciò che può far nascere il desiderio: la danza, il canto, la musica, l'arte figurativa».

Che ruolo ha la propaganda mediatica?

«Internet e poi i social network hanno favorito il diffondersi dell'ideologia jihadista, anche in ambienti che non erano esposti. E questo spiega come anche giovani di orizzonti, culture e livelli sociali differenti abbiano potuto radicalizzarsi. Questo non significa che la radicalizzazione dell'individuo possa avvenire solo attraverso internet: nella maggior parte dei casi un ruolo centrale è giocato da una persona vicina, un parente o un amico. Nel mio romanzo Issam entra in un gruppo terroristico attraverso un amico».

I ragazzi seguono anche studi universitari utili alla causa?

«I gruppi terroristici hanno bisogno di informatici, ingeneri, tecnici e non soltanto di carne da cannone».

Nel libro, come nella realtà, alcuni futuri terroristi sono ragazzi usciti dal carcere: anche in Francia è così difficile identificare per tempo la radicalizzazione?

«La radicalizzazione è un processo, ci sono più gradi e soprattutto la durata è molto variabile, secondo gli individui. Alcuni si radicalizzano molto velocemente, altri molto lentamente. Sicuramente ci sono segni di radicalizzazione, come il chiudersi in se stesso, il fatto di abbandonare certe attività e modi di vita. Si può senza dubbio riferire di giovani che si stanno radicalizzando, ma è difficile capire il loro grado di radicalizzazione e di pericolosità».

Ma perché sempre più giovani scelgono la radicalizzazione? È possibile fare cambiare loro strada?

«Non è possibile rispondere in generale. Tutto dipende dal giovane e dal suo grado di radicalizzazione. Il problema è identificare coloro che possono essere de-radicalizzati o risocializzati e coloro per i quali non ne vale la pena. Questo necessita di creare delle equipe pluridisciplinari, esperte in questo fenomeno, e spesso di far uscire il giovane dal suo ambiente salafita».

Perché ha scelto il titolo Ahlam, i sogni?

«Ho pensato al sogno tunisino durante la rivoluzione dei gelsomini: creare una democrazia in un Paese musulmano. Foneticamente, d'altronde, il termine Ahlam in arabo si situa a metà tra haram, il proibito e halal, il lecito: i sogni sarebbero dunque tra il lecito e l'illecito.

E poi Ahlam è un bel nome femminile».

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