Il desiderio (pericoloso) di diventare invisibili

Da Platone a Salvatores, passando per gli incantesimi e il mantello di Harry Potter Un mito inseguito da secoli ma il problema è: che cosa faremmo se nessuno ci vedesse?

Il desiderio (pericoloso) di diventare invisibili

Si potrebbe parafrasare Emil Cioran: la malinconia è il languido desiderio di invisibile. Beh, nell'aforisma lui diceva «di insolubile» ma, in fondo, anche l'invisibilità è un mistero. Inseguito e irrisolto. Perfino dalle ultime tecnologie, perfino dagli scienziati che annunciano con entusiasmo di avere scovato mantelli di invisibilità, tappeti occultanti, scudi di invisibilità: «metamateriali» con i quali, come ha spiegato su Science Ulf Leonhardt, uno dei pionieri del settore, «si possono implementare trasformazioni di coordinate con le quali eliminare mediante la trasformazione gli oggetti». Che significa? Che, attraverso le conoscenze più avanzate di ottica, fisica, tecnologie dei materiali e attraverso tanta immaginazione, alcuni oggetti, visti da certe prospettive, possono diventare invisibili.

Tutto questo, si capisce, non ha il fascino dell'invisibilità. Lo spiega bene Philip Ball, divulgatore scientifico (ha studiato chimica e fisica a Oxford e Bristol e ha lavorato per vent'anni a Nature) che ha scritto L'invisibile (Einaudi, pagg. 350, euro 32), un saggio il cui sottotitolo chiarisce perché la tecnologia non basti a risolvere la questione: «Il fascino pericoloso di quel che non si vede». È quello che rende l'invisibile speciale, attraente e, appunto, un rischio potenziale per tutti. L'aveva capito già Platone che, nella Repubblica, molti secoli prima che l'invisibilità potesse essere realizzata, prevedeva che fosse «un problema morale, non tecnico». Perché, dice Ball, «se vi poteste rendere invisibili, che cosa fareste?». A spanne, un sondaggio di media umanità dice: «Qualcosa che ha a che fare con il potere, la ricchezza o il sesso. E magari tutti e tre, se possibile». Non c'è niente di male ad ammetterlo, oltretutto. Lo stesso Glaucone nella Repubblica avverte che, chi si comportasse diversamente, «sembrerebbe in realtà, a chi venisse a saperlo, quanto mai miserabile e dissennato, mentre pur lo loderebbero in presenza d'altri». Insomma, senza falsi moralismi, chi non ne approfittasse parrebbe tonto.

Sarà anche per questo che da un paio di millenni gli uomini tentano in tutti i modi di trovare un modo per scomparire o, perlomeno, di mimetizzarsi molto bene. Se non è proprio possibile svanire, infatti, ci si può sempre occultare: la natura insegna come fare in maniera esemplare, come sanno (e hanno tentato di replicare) gli esperti militari di camouflage. E non è un caso se, durante la Seconda guerra mondiale, per confondersi nel deserto del Nord Africa le forze di Sua Maestà ricorsero ai servigi di Geoffrey Barkas, cineasta britannico che fu nominato «direttore della mimetizzazione»: allora il cinema era visto come un'arte da prestigiatori, da «specialisti di finzione e illusione». E chi, da secoli, era più «competente» in fatto di invisibilità, se non appunto maghi e simili? «Un libro di magia non era completo se non includeva un incantesimo per l'invisibilità» dice Ball e, tra gli ingredienti, figura di tutto: miscele di sangue e bile con cui ungersi il viso tipo maschera notturna; mercurio e pietre trovate in un nido di pavoncella per creare un «anello di Gige»; bulbi oculari (si capisce il legame...); fagioli o fave; l'eliotropio, considerato la pietra dell'invisibilità per eccellenza, perché «la luce che riflette confonde i sensi» ed è per questo che, spiegava Anselmo Boezio, i re si ingioiellavano e che, secondo Ben Jonson, i Rosacroce ricorrevano a «gemme che luccicano, riflettono e disperdono la luce per confondere e accecare chi le guarda».

Perché esistono vari tipi di invisibilità, e una è quella sociale, di cui i Rosacroce, come anche i primi cristiani, sono un esempio: chi vive nei sotterranei, senza farsi notare. O, al contrario, chi non viene notato dagli altri, come il piccolo protagonista de Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, un emarginato nella vita quotidiana che diventa «realmente» invisibile. Esempio di uno dei numerosi «invisibili» (maschi e femmine) apparsi, in vesti più o meno bizzarre e credibili, sul grande schermo: dall'Uomo senza ombra al Pianeta proibito, dall'Uomo invisibile alla serie The Invisible Man. Tutti comunque debitori, nota Ball, del fantascientifico romanzo di H.G. Wells, L'uomo invisibile appunto, dove «ci viene presentata la prima riformulazione diffusa e autenticamente scientifica dei miti sull'invisibilità». Mostrandone tutti i limiti: perché, quando interviene la tecnologia, l'invisibilità perde gran parte della sua aura. E, allo stesso tempo, Wells anticipa il modo in cui la modernità interpreterà l'invisibilità «come una rovina», «un modello per le metafore dell'alienazione sociale e dell'impotenza».

Invece l'invisibilità del mito è qualcos'altro: qualcosa legato al potere, che «ci trasforma e ci trascina in un altro mondo». Qualcosa come l'Anello di Tolkien o il mantello dell'invisibilità di Harry Potter o il gesto istintivo dei bambini, sicuri di scomparire quando nascondono gli occhi con le mani: un potere che, per loro, «non ha nulla di straordinario», che «abbiamo tutti ma che dobbiamo abbandonare insieme all'infanzia». Anche se ci rimangono addosso il sogno e il desiderio, la fiducia che sia una possibilità vera e semplice da realizzare, in fondo. Lo sostiene anche, alla fine dell'800, The Book of the sacred Magic of Abramelin the Mage: «Rendersi invisibili è una faccenda molto facile» ma, avverte, «tutto sommato non la si può permettere, perché in questo modo si potrebbero infastidire i vicini nella loro vita... e compiere malvagità innumerevoli». L'invisibilità, come tutti i poteri, è difficile da gestire, ed è ancora più difficile non lasciarsene dominare. Però è anche arte.

Pensiamo ad attori e scrittori, dice Ball: «Ne ammiriamo alcuni per lo stile e altri perché spariscono al punto che vediamo solo la storia. I primi sono esecutori di grande abilità, ma i secondi sono maghi». Ed è dell'attore-scrittore-mago che ci si chiede: come ha fatto? Già: come ha fatto a scomparire?

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