"Dagli Hobbit a Turing per me recitare è un fatto di sguardi"

Dopo l'ultimo film della saga fantastica, Benedicth Cumberbatch interpreta il matematico: un genio dei computer che sconfisse Enigma

"Dagli Hobbit a Turing per me recitare è un fatto di sguardi"

da Los Angeles

Grande anno il 2014 per l'attore londinese Benedict Cumberbatch, incomparabile e vagamente gay Holmes nella serie «occasionale» della BBC Sherlock . In rapida sequenza lo abbiamo visto in The Fifth Estate (nel ruolo di Juliane Assange), Osage County , 12 anni schiavo , l'ultimo Star Trek (nella parte di Khan) ed è adesso grande protagonista, e in pole position per l'Oscar come miglior attore, in The Imitation Game , per cui è stato candidato al Golden Globe. The Imitation Game , diretto dal norvegese Morten Tyldum, è l'acclamato film in cui interpreta il matematico inglese Alan Turing, colui che riuscì a decrittare la famigerata Enigma Machine, usata dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale per inviare messaggi bellici in codice. Turing era gay, e invece di venir celebrato per il suo genio venne messo alla gogna: morì suicida nel 1954 dopo aver mangiato una mela avvelenata.

Cumberbatch è anche nell'ultimo capitolo di The Hobbit (è il Necromancer, ovvero il cattivo stregone Sauron e nella versione inglese, presta anche la voce al drago Smaug), in questi giorni in uscita in tutto il mondo, e nel frattempo sta recitando nella miniserie inglese Riccardo III . Come se non bastasse ha appena annunciato di essersi fidanzato (con chi? anche questo un enigma... una lei? un lui? Non è dato sapere). L'attore non si monta la testa, anzi. «Più lavori più devi fare pubblicità», dice l'intrigante Cumberbatch durante il nostro incontro a Los Angeles. «È l'unico momento in cui mi innervosisco, ovvero quando penso che il pubblico potrebbe scocciarsi di me, non per tutte le cose che sto facendo come attore ma per tutta la sovraesposizione mediatica su di me».»

Un tipo cerebrale, proprio come ci si aspetta vedendolo recitare: mai personaggi normali, ma quasi sempre geni inevitabilmente fuoriposto.

Sta per uscire l'ultimo capitolo di Hobbit . Cosa ricorda maggiormente di questa esperienza?

«La risposta ovvia è partecipare a una produzione gigantesca e trovarsi a far parte di un'opera culto della cultura popolare. Ma la mia risposta intima è passare del tempo col mio grande amico Martin Freeman, Bilbo Baggins in Hobbit , ovvero il Dottor Watson in Sherlock . Il fatto di stare in Nuova Zelanda e trascorrere del tempo con Martin ha reso questa esperienza speciale per me. Ogni volta che recitavamo insieme, sul set di Hobbit , mi veniva da ridere, perché io conosco bene Martin, e non conosco bene Bilbo. Lui che fa Bilbo, con quei piedi e quelle orecchie, mi faceva sbellicare. Ma lui è bravissimo, e sento che questo film sarà spettacolare».

Da un fantasy alla storia reale di Imitation Game : come si preparato per interpretare Turing?

«Sono partito dalle scuse proferite nel 1990 dal governo inglese nei confronti di Turing, morto 40 anni prima, o quasi. Solo per il fatto che fosse gay non gli è mai stato riconosciuto il merito di aver risolto un grattacapo matematico pazzesco e praticamente aver contribuito a sconfiggere i tedeschi anzitempo. Una storia umana che fa riflettere ancora oggi».

Ha incontrato la famiglia di Turing?

«Certo, durante la preparazione del film e alle sua premiere a Londra. I loro complimenti sono stati i più belli nella mia carriera di attore. Mi hanno detto che vedermi nel film era come stare con lui di nuovo. È l'unica recensione che per me conta».

Si dice che nessuno come lei riesce a esprimere l'intelligenza di un personaggio. Come riesce a mettere in scena questa complessità?

«Con Sherlock lo faccio grazie alla velocità quasi pirotecnica con cui riesce a collegare elementi nel corso della sua inchiesta. Recitarlo è un'emozione e una gioia. Turing è un genio: basta seguire le battute del copione. Esprimo intelligenza? Non so perché. Dovrei forse ringraziare mia madre. I miei occhi sono i suoi, e io ho semplicemente imparato a usarli bene. Gli occhi sono la finestra dell'anima, ce lo insegnano a teatro fin dalle prime lezioni di recitazione».

Turing è stato un pioniere dei computer. Si considera anche lei un maniaco della tecnologia?

«Un po' sì. Anche Sherlock , il nostro, moderno, è tutto smart-phone, apps e social. Ma per The Imitation Game ho dovuto prendere lezioni di computazione, tornare cioè all'origine della programmazione software prima che ancora esistesse l'idea del software! Tornare indietro mi ha fatto capire meglio quello che abbiamo davanti».

Ovvero?

«Non importa quanta macchina e quanta tecnologia hai a disposizione: se non c'è del genio, non vai da nessuna parte, non scopri nulla e non risolvi grattacapi che magari ti aiutano a sconfiggere una guerra».

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