Cultura e Spettacoli

Diario collettivo di tutti i figli di Topolino&Co.

Appartengo alla nutrita categoria di coloro che hanno imparato a leggere su Topolino

Diario collettivo di tutti i figli di Topolino&Co.

Appartengo alla nutrita categoria di coloro che hanno imparato a leggere su Topolino. Mio padre non leggeva fumetti, ma si era giustamente convinto che quelli Disney fossero scritti in buon italiano. Pertanto li tollerava più di quanto non facesse con Salgari o con Curwood (un London minore), che pure lui da bambino aveva divorato

Il mio scrigno delle meraviglie, però, era una grande valigia di cartone, nascosta in soffitta che custodiva intere annate del «Topo» e altre magnifiche Strisce. I proprietari del tesoro erano i miei cugini, dieci anni più grandi. Grazie a loro e al fatto che in famiglia non si buttava niente, ho conosciuto i «classici» degli anni '50 e '60 nelle edizioni originali.

Crescendo, Topolino non è uscito dalla mia vita. Anzi, tutti i mercoledì, lo aspetto in edicola Così mi sono riconosciuto in pieno nel libro di Valentina De Poli: Un'educazione paperopolese. Dizionario sentimentale della nostra infanzia (il Saggiatore). Conosco l'autrice per aver letto tutti i suoi editoriali su Topolino dal 2007 al 2018. Seconda donna, dopo Claretta Muci, a diventare direttore del settimanale a fumetti più popolare d'Italia, ha gestito il passaggio di proprietà della testata a Panini Comics e nel 2018 è stata licenziata dall'editore. Perché pure nel giornalino più bello del mondo può essere faticoso aderire in toto al disneyano ideale di perfezione De Poli, però, non si toglie sassolini dalle scarpe. Ha cominciato poco più che bambina, sotto l'ala protettrice della mitica Elisa Penna (quella della posta «Qui Paperino Quack»), con Massimo Marconi redattore capo e un grande direttore come Gaudenzio Capelli sotto il quale, nell'estate 1993, Topolino superò il milione di copie vendute in edicola

Valentina ha ricevuto, appunto, una educazione paperopolese e il libro è un atto d'amore, un fiume in piena di gratitudine per paperi e topi, disegnatori e sceneggiatori. C'è tanta nostalgia per chi ha fatto grande il giornalino e ora non c'è più. Per il grande Giovan Battista Carpi, il «maestro italiano dei paperi», che fu il primo, a una Canzonissima del '68, a disegnare in diretta una tavola di Topolino, rivelando che le storie erano realizzate in Italia, nonostante recassero la firma Disney. Il volume cita nomi indimenticabili, come Giulio Chierchini o Guido Martina, l'autore dell'Inferno: un capolavoro ristampato in edizione critica in occasione dei 700 anni della morte di Dante! La prima di una lunga serie di parodie Disney. E ha ragione l'autrice a sottolineare la ricchezza del vocabolario disneyano. I bambini che leggono Topolino conoscono il significato di parole come «plutocrate», «obsolescenza», «barbitonsore», «palandrana» È poi motivo di orgoglio, per un disneyano, saper riconoscere uno sceneggiatore o un disegnatore, dal tratto di penna o dallo stile letterario. La vignetta che ormai da decenni apre Topolino reca la firma di quel genio di Silvia Ziche. Impossibile non riconoscerla: un suo disegno vale un editoriale per vis comica e capacità di sintesi. E i testi di Tito Faraci, forse l'erede dell'immenso Rodolfo Cimino?

Anche il filosofo della Scienza Giulio Giorello amava Topi e paperi. Ecco, forse apprendendo ciò, anche il mio povero papà smetterebbe di criticare queste mie letture

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