Il diplomatico di Hitler che rifiutò il nazismo e cercò di salvare l'Italia

Un saggio riscopre Moellhausen, il colto console tedesco a Roma nel 1943. Mai iscritto al partito

Il diplomatico di Hitler  che rifiutò il nazismo e cercò di salvare l'Italia

Per Hitler la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 fu una sorpresa, una brutta sorpresa. Proprio alla vigilia della storica riunione del Gran Consiglio che avrebbe portato alla fine del regime e all'arresto di Mussolini, al Quartier Generale del Führer si era tirato un sospiro di sollievo. L'ambasciatore del terzo Reich a Roma, Hans Georg von Mackensen, aveva appena inviato a Berlino un telegramma rassicurante nel quale si lasciava intendere come Mussolini fosse più forte che mai malgrado lo sbarco alleato in Sicilia e i bombardamenti aerei.

Quando apparve chiaro che le cose avevano preso una direzione diversa, von Mackensen fu chiamato urgentemente a rapporto a Berlino e, tutto sommato, se la cavò bene: per quanto furibondo, Hitler, che non aveva mai avuto grande stima dei diplomatici, si limitò a destituirlo considerandolo un ingenuo divenuto facile preda del tradizionale machiavellismo italiano. Lo sostituì con Rudolf Rahn, un diplomatico di grande spessore, che volle con sé, come stretto collaboratore, un giovane trentenne, Eitel Friedrich Peter Paul Moellhausen cui era legato da vincoli di amicizia. Questi, nato a Smirne da padre tedesco e madre francese, era entrato al Ministero degli Esteri grazie alle sue conoscenze linguistiche: e ciò era avvenuto malgrado il fatto, davvero eccezionale per l'epoca, che egli non fosse iscritto al partito nazionalsocialista. Era un uomo di bell'aspetto, alto e magro, bruno e con i tratti orientaleggianti, lo sguardo vivace, di grande cultura umanistica, cattolico di religione, aperto di mente e tollerante di carattere. Era stato subito impiegato, durante la guerra, in missioni particolari. Nella Parigi del 1940, occupata dai nazisti, era stato incaricato di fondare e dirigere un settimanale, La Gerbe, che doveva favorire una collaborazione, soprattutto intellettuale, franco-tedesca. Si trattava di una sfida vera e propria, peraltro non gradita a Goebbels, ma Moellhausen la vinse perché il giornale, diretto dallo scrittore collaborazionista Alphonse de Chateaubriant, raggiunse una tiratura di 200.000 copie e si rese finanziariamente autonomo. A Parigi frequentò o conobbe, personaggi del mondo culturale e artistico più che politico: da Louis-Ferdinand Céline a Pierre Drieu La Rochelle, da Sacha Guitry a Jean Cocteau. E, sempre a Parigi, incontrò Rahn, inviato lì come secondo consigliere d'ambasciata, col quale strinse un rapporto di profonda amicizia e di stima reciproca, che li avrebbero portati a collaborare insieme in Siria, a Dakar, in Nord Africa e poi, dopo la caduta del fascismo, a Roma.

A questo singolare e intrigante personaggio Donatella Bolech Cecchi ha dedicato un bel saggio dal titolo Eitel Friedrich Moellhausen. Un diplomatico tedesco amico degli italiani 1939-1945 (Rubbettino, pagg. 138, Euro 14) frutto di attente ricerche in archivi pubblici e privati: un saggio che consente di mettere a fuoco la personalità e le vicende di un uomo, come scrive l'ambasciatore Luigi Ferraris nella prefazione, «al tempo stesso attore e vittima» degli avvenimenti storici che accompagnano il crepuscolo del nazismo e la cui vita ha «il sapore dell'avventura». La parte centrale del saggio riguarda il periodo dell'occupazione nazista di Roma, sul quale lo stesso Moellhausen aveva pubblicato nel 1948 un suggestivo volume di ricordi, La carta perdente. Memorie diplomatiche 25 luglio 1943-2 maggio 1945 (Sestante Edizioni), stranamente dimenticato da un disattento mercato editoriale.

Moellhausen divenne presto importante a Roma. Rahn, infatti, ebbe un grave incidente d'auto l'8 ottobre 1943 tornando da un incontro con Rommel e fu costretto a una lunga degenza in un ospedale militare sulle rive del Lago di Garda. Trovatosi così, come console generale, a capeggiare la missione diplomatica tedesca a Roma in un momento particolarmente delicato, Moellhausen dovette muoversi con estrema cautela e furbizia non solo fra le autorità militari e civili ma anche fra gli stessi colleghi tedeschi dell'ambasciata che guardavano con sufficienza, se non pure con atteggiamento diffidente, questo giovane diplomatico che aveva rifiutato di prendere la tessera del partito ma che godeva dell'amicizia di Rahn e della simpatia di Kesserling. Come un altro singolare personaggio che circolava a Roma, Eugenio Dollmann, che naturalmente conobbe e frequentò, Moellhausen era innamorato dell'Italia e degli italiani. Nei tragici giorni della «Roma nazista» cercò di opporsi all'ordine di far arrestare e deportare tutti gli ebrei romani in Germania e, all'indomani dell'attentato di via Rasella, ebbe un durissimo scontro con il generale von Mälzer. Dopo la liberazione di Roma fu coinvolto nei tentativi di trattare con gli alleati.

La figura di Moellhausen, quale emerge dal saggio di Donatella Bolech Cecchi, è quella di un individuo, poco studiato

e meno ricordato di quanto meriterebbe, intelligente e colto, abile nell'intrigo e nella trama diplomatica, estraneo probabilmente all'ideologia nazionalsocialista ma anche incapace di ribellarsi eticamente e decisamente.

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