Cannes - Il suo film d'esordio, girato a vent'anni, si intitolava Ho ucciso mia madre. Cinque anni dopo, Xavier Dolan porta in concorso a Cannes, Mommy, ovvero Mamma: questa volta non vuole più farla fuori, ma chiederle scusa. Moralmente è un passo avanti, cinematograficamente qualcosa di più, perché il film è la vera sorpresa di questo festival, dove i nomi più accreditati alla Palma (Leigh, Dardenne, Ceylan, Lee Jones, Miller) si muovono tutti più o meno sul campo consolidato del cinema tradizionale, ben fatto e curato nei particolari. Dolan fa qualcosa di più. Si serve di una sceneggiatura scintillante, brutale nell'uso del gergo, l'argot adolescenziale e quello popolare di un Canada francofono in lotta con la lingua inglese (un bel lavoro per chi dovrà renderlo in italiano e per i doppiatori chiamati a recitarlo) e lo mette al servizio di due attori strepitosi nel passarsi l'un l'altro la palla: Antoine-Olivier Pilon, nei panni di Steve, il figlio, Anne Dorval in quelli di Diane, sua madre. Intorno gli costruisce un décor luminoso, pieno di colore, abbacinante quasi se a contrastarlo non ci fosse il tema di fondo, drammatico della storia. Una delle immagini che vale il film è quando correndo sullo skate, la madre e un'amica dietro di lui in bicicletta, Steve apre letteralmente lo schermo cinematografico che fino ad allora lo aveva come imprigionato: la possibilità di uscire dalla sua condizione, di entrare a pieno titolo nella vita.
Mommy racconta di un ragazzo psichicamente instabile, vittima di impulsi distruttivi e autodistruttivi, qualcosa di più di un ragazzo difficile, qualcosa di meno di un ragazzo normale. Rimasta vedova, Diane ha pensato di affidarlo a un istituto correzionale, ma Steve è stato espulso anche da lì, non hanno funzionato né le attenzioni né le punizioni. Lei così se lo riprende in casa, illudendosi di farcela. È una donna forte, allegra, piena di vita. Usa spesso un linguaggio da carrettiere, si considera più giovane di quello che l'età le dovrebbe consigliare, è ironica, politicamente scorretta, irresistibile. È una che non sa cosa sia la depressione o il lasciarsi andare. La lotta è il suo elemento.
La coabitazione però si rivela più difficile del previsto e solo l'aiuto di Kila (Suzanne Clément), un'insegnante che un trauma di cui non sappiamo le origini, ha portato a un balbettamento che sconfina nell'afasia, riesce in qualche modo a farlo funzionare. Perché Steve ha sì bisogno d'affetto, ma quello che più cerca è la normalità che sa di possedere, ma che non riesce a far emergere. La violenza è l'altra faccia dell'impotenza a non sapersi controllare. Nutre per sua madre un amore eccessivo, vorrebbe essere l'uomo di casa, lo ferisce non essere all'altezza. È disposto a tutto perché la madre sia felice, anche, purtroppo per lui, a farsi definitivamente da parte.
«Lavorare con Anne Dorval e Suzanne Clément - dice il regista - significava per me cercare di andare oltre ciò che avevano già fatto, renderle quasi irriconoscibili rispetto ai film precedenti. Era una sfida eccitante e credo che l'abbiano vinta, che l'abbiamo vinta. Quanto ad Antoine-Olivier Pilon, è certamente la sorpresa, la rivelazione. Più che recitare, ha letteralmente creato un personaggio e questo è qualcosa che solo i grandi attori possono fare».
Nonostante il tema, Mommy non è un film compassionevole, non si piange addosso, non cerca il facile effetto della commozione o della pietà. «Volevo fare un film su dei personaggi vincenti, qualunque cosa poi potesse loro capitare alla fine. Gente che meritava di emozionarsi e di sognare. Non mi interessava tanto sottolinearne i limiti, i difetti, quanto la ricchezza umana che comunque li abitava». In una scena finale del film, quando Diane si rende conto che sempre più l'attende un destino di solitudine da un lato, di impossibilità per il figlio di una vita normale dall'altro, ha un cedimento momentaneo.
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