Dov'è l'identità del Maggio Musicale Fiorentino?

Ben venga Maggio, cantava messer Poliziano, invitando le dame fiorentine ad aprire il cuore all'amore nelle feste del Calendimaggio. Dal 1933 il Maggio Musicale Fiorentino, guidato da Mario Labroca, e poi da Francesco Siciliani (e più avanti nei Maggi tematici), fu vera «festa» di musica. Opere del repertorio italiano, affidate a cast stellari, rinnovate dai maggiori pittori del Novecento per scene e costumi; titoli dimenticati; novità assolute; e, sul modello Salisburgo, sontuosi spettacoli di prosa e musica nel Giardino di Boboli: così per decenni a Firenze fu sempre «maggio», un'infiorata di avvenimenti che calamitava pubblico internazionale. Poi l'infausta successione di spese periclee e tagli draconiani, ha portato all'attuale ridimensionamento programmatico, bilanciato dalle risanate, così leggiamo, finanze, della 79esima edizione: un'opera nuova di Fabio Vacchi (Lo specchio magico), una sera in forma di concerto; il delizioso Albert Herring di Britten alla Pergola, la rara ma non ignota Iolanta di Cjaikovskij nella nuova Opera di Firenze. Guarnizioni eccellenti: il passaggio dei Wiener Philharmoniker (direttore Daniele Gatti), dei Berliner (Nezet-Séguin) e dei pietroburghesi di Temirkanov, e la festa per il direttore a vita, Zubin Mehta, che affronta alcune vette di Beethoven.

Eccellente menu, ma, con rispetto parlando, non si capisce quale sia la differenza fra il Maggio e una bella stagione corrente. Stagioni festivalizzate e festival stagionalizzati: così si perde la ragion d'essere per cui ci ostiniamo ad amare il Maggio Musicale Fiorentino.

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