Cultura e Spettacoli

Il Duce teatrale: tanta Storia, grande scena, pochi "artifici"

Se il teatro è conflitto, in questa messa in scena di M il figlio del secolo, romanzo di Antonio Scurati premio Strega 2019, il conflitto si è perso e non sa tornare

Il Duce teatrale: tanta Storia, grande scena, pochi "artifici"

Se il teatro è conflitto, in questa messa in scena di M il figlio del secolo, romanzo di Antonio Scurati premio Strega 2019, il conflitto si è perso e non sa tornare. Per le tre ore e oltre dello spettacolo attendiamo che succeda qualcosa: che il teatro non sia incubato in diciotto attori che spingono cose e si passano il testimone sui fatti di una Storia che è nuovo, meritevolissimo e rischioso aver messo in scena, ma che rimane comunque Storia, drammaturgicamente analfabeta se non la si disinnesca con l'esperimento della verità.

Le tinte di Brecht e Fellini sono state passate, i numeri del kolossal ci sono tutti la trentina di quadri richiedono un «format» di cambi di costume, ambientazioni e movimenti che hanno richiesto un lavoro titanico, come Popolizio ha preannunciato più volte e per certo i sei mesi di preparazione del progetto, previsto in origine in due parti, hanno subìto un massacro non indifferente dalla riduzione richiesta per poterlo compattare in una serata unica anziché diluirlo nelle due previste all'origine. Coprodotta da Cinecittà, la prova ha dunque tutti gli stigmi del grandioso ed è forse proprio questo che la irrigidisce e la imposta: Mussolini, Sarfatti, Nenni e compagnia «sfilano», in una parata impeccabile dal 1919 al 1925, ma a dividerli dal teatro è una teca invisibile che non si frantuma mai e che li lascia bidimensionali.

Vale dunque la pena vedere M? Sicuramente sì e chi ha visto Ragazzi di vita di Pasolini messo in scena dallo stesso Popolizio nel 2017 sa già perché: lo spirito di Luca Ronconi aleggia in ogni quadro e benedice il montaggio finale. Nemmeno per un attimo si butta l'occhio allo smartphone e persino alle scuole in sala i momenti di divertimento, garantiti dall'impostazione à la Petrolini di molte scene, risulta graditissima: insomma non ci si annoia e non si smania. Tuttavia, se cercate l'artificio alchemico che rende trasformativo per lo spettatore l'impeto tragico, ovvero se da M vi aspettate qualche momento catartico, una presa di rischio sugli eventi, il sorpasso dell'emozione sulla funzione avrete soddisfazione solo per alcuni momenti: l'Italo Balbo di Paolo Musio e Raffaele Esposito come Giacomo Matteotti e Guido Keller, senz'altro i migliori.

E soprattutto i dieci, forse quindici minuti in tutto in cui appare Popolizio, che ha riservato per sé un doppio di Mussolini stay foolish, intrigante, radioso, che non si spiega nemmeno a se stesso ma finalmente «agisce».

Commenti