Cultura e Spettacoli

E se l'Italia fosse riformata dai liberalconservatori?

Idee, valori e prospettive di una maggioranza silenziosa che vuole e può rilanciare il Paese

E se l'Italia fosse riformata dai liberalconservatori?

Da almeno duecento anni vengono evitati nel nostro Paese, quasi fossero appestati. «Essere conservatori - scrive uno storico acuto e controcorrente come Giuseppe Parlato - costituiva la prova del rifiuto del più significativo lascito dell'Ottocento, e cioè l'idea di progresso come momento fondante la prospettiva del futuro, nell'uomo e nella società». Di più. Se ancora non fosse chiaro, Parlato dirada la nebbia con parole urticanti: «Più che indicare una scelta politico-culturale, il termine è stato soprattutto usato per contestare e delegittimare gli avversari».

Si può affermare senza tanti spagnolismi: i conservatori stavano, e in parte stanno ancora, nel ghetto. Di qua c'è il pensiero scorretto, quello che fa arricciare il naso, quello che emerge a fatica dal sottoscala della società e spicchi di opinione pubblica scrutano nello specchietto retrovisore di un indefinito senso di colpa; di là c'è il politicamente corretto progressista, nelle sue varie declinazioni. Sempre più avvolgente, pervasivo, buonista all'apparenza ma feroce.

Chi sposa una posizione alternativa sulle questioni etiche, sulla difesa dei confini, sul confronto fra la civiltà occidentale e le altre culture, viene immediatamente bollato e scomunicato. C'è un establishment che pensa tutto allo stesso modo ed è titolato, senza averne però le credenziali, a dare le pagelle e a sventolare cartellini rossi. E questa intellighenzia, quella che definisce il nostro perimetro sui giornali, con i libri e i film e tutto il resto, è quasi sempre collocata a sinistra, anche se naturalmente la questione non può essere banalizzata come fosse un problema di partiti e di voti. Già le parole, i progressisti e i conservatori, funzionano come una trappola e mettono in difficoltà.

Ecco, dunque l'importanza di un libro-antologia come La sfida dei liberalconservatori, sottotitolo «Una opportunità per l'Italia», appena pubblicato dalla casa editrice La Bussola, che raccoglie scritti di diversi pensatori contemporanei: una somma corale di contributi che sono come lampi di riflessione, firmati da una schiera di intellettuali non ortodossi, da Giovanni Orsina ad Alberto Mingardi e Raimondo Cubeddu, tutti capaci di sparigliare.

Non solo. Questo libro o segna anche il debutto di «Lettera 150», un think thank nato nella primavera del 2020, in piena pandemia, con lo scopo di ridare un'identità all'Italia alla deriva. Non si tratta, sia chiaro, di un manipolo di nostalgici di non si sa bene quale tempo passato, ma semmai di un gruppo eterogeneo ma affilato di storici, filosofi, ex magistrati che provano a mettere insieme spunti e suggestioni di matrice conservatrice e liberale per ridefinire un paradigma culturale all'altezza delle sfide contemporanee.

«Tramontati ormai i partiti tradizionali - scrive nella prefazione Giuseppe Valditara, animatore dell'iniziativa e ordinario di Diritto pubblico e privato romano all'università di Torino - la politica italiana ha necessità di riferirsi a filoni di pensiero e culture in grado di esprimere compiutamente valori e prospettive».

Per far uscire dall'angolo quel pezzo di Italia che probabilmente ha i numeri ma non la parola, Valditara parte da un distinguo: no al populismo, sì al sovranismo, «da intendersi con riferimento alla sovranità popolare e alla necessità della difesa del principio democratico. Insomma, il liberalconservatorismo è una filosofia della politica che coniuga libertà e identità, proiezione verso il futuro partendo da una forte consapevolezza del proprio passato».

Non tutto quello che è nuovo e per forza di cose buono e, anzi, esiste un pantheon ideale e ci sono punti di riferimento che possono dare la bussola alla marcia dentro il paesaggio sfarinato di oggi: John Locke, Camillo Benso di Cavour, Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi sono i primi nomi che vengono in mente.

E allora talune certezze, o pseudo tali, possono essere messe in discussione o rovesciate, come fa nel suo saggio intitolato «Conservare per innovare», Francesco Cavalla, professore emerito di Filosofia del diritto a Padova: «C'è chi dice oggi: se l'individuo è affrancato da ogni ipoteca religiosa ed etica potrà finalmente sviluppare la sua libertà. Noi diciamo no». E ancora: «C'è chi dice oggi: tutte le opinioni sono equivalenti: è bene che i giudici adottino una interpretazione estremamente libera della legge perché il loro compito primario è quello di tutelare e promuovere i diritti fondamentali della persona (diritti umani). Noi diciamo no».

Un no inesorabile, scandito più volte e capace di intercettare questioni ustionanti: «C'è chi dice oggi: la scienza e la tecnica sono gli unici saperi ai quali affidare la ricerca della verità. Noi diciamo no». Un no ancora più urgente e tutto da esplorare ai tempi della pandemia.

Giuseppe Parlato, professore all'università degli Studi Internazionali di Roma, si cimenta «Contro l'illusione della rivoluzione», come da titolo del suo intervento: « In Italia - e non solo - una politica seria e corretta, dalla fine del Settecento, deve essere rivoluzionaria, altrimenti perde ogni fascino e credibilità». Fra travestimenti, smarcamenti e prese di distanza.

«Se in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti il conservatorismo si colloca a destra, in Italia quella che potremmo considerare destra ha sempre rifiutato ogni riferimento e ogni parentela con i conservatori: il Fascismo, per cominciare, preferiva considerarsi ed essere considerato più rivoluzionario che conservatore. Allo stesso modo il Movimento sociale italiano ha sempre rifiutato l'appellativo di conservatore, lasciandolo ben volentieri all'Uomo Qualunque e al movimento monarchico, nonché ai liberali e alla destra Dc, i quali, peraltro, non lo utilizzarono mai».

Sarebbe forse il caso, sia pure con un ritardo drammatico, di sdoganare idee e ragionamenti che potrebbero aiutare una società smarrita nel labirinto delle sue contraddizioni. «Liberalismo e conservatorismo si coalizzino senza reticenze e retropensieri», è l'appello di Renato Cristin, associato di Filosofia teoretica a Trieste.

Si possono immaginare contaminazioni diverse e, senza impiccarsi a una definizione, c'è chi propone di mettere insieme il «meglio» dei due mondi: valori conservatori, economia liberale. In ogni caso, si tratta di combattere il pensiero unico.

E dare dignità a quello che molti pensano e dicono, ma solo sottovoce.

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