Quanto mi manca Andrea Pinketts. Perché quando ci sentivamo era sempre una consolazione: la vita senza fumo non sarebbe stata vita, mi diceva, e senza alcol neppure, mi diceva. Quando uscivi dal medico con delle analisi non perfette telefonavi a Pinketts e lui ti rincuorava. Finché c'era Pinketts significava che una vita non salutista era possibile. E perfino quando è morto, alla fine dell'anno scorso, ha continuato a essere Pinketts fino in fondo, dicendo «ho il cancro, è colpa mia, ma il sigaro lo perdono». Che d'altra parte conferma il detto: meglio un giorno da leone che una vita da pecora. Meglio cinquantasette anni da Pinketts che novanta da Scalfari.
E adesso mi tocca recensire il suo ultimo libro, uscito postumo, intitolato E dopo tanta notte strizzami le occhiaie (Mondadori), sapendo già che come è sempre successo stavolta non mi telefonerà, con il suo vocione inconfondibile, che al termine dei suoi giorni era diventato una vocina flebile, anche quello. Ma non la sua mente. Perché lui era Pinketts.
Lo si capisce leggendo questo libro di racconti, alternato da riflessioni buttate giù negli ultimi giorni della sua vita, all'Ospedale Niguarda, a Milano. Non sono tanti gli scrittori in grado di scrivere della propria morte mentre stanno morendo e restando sé stessi. Tra i pochi ricordo Christopher Hitchens, colpito dallo stesso tumore di Pinketts, e il francese Hervé Guibert, morto di Aids.
Andrea Pinketts era un calembour continuo, nella vita e in letteratura, un gioco di parole in bilico sull'esistenza che in parte te la svelava in parte te la rendeva uno scherzo di natura e di cultura. André Breton lo avrebbe senz'altro arruolato tra i surrealisti, perché questo era Andrea, un magnifico giallista surrealista.
Qui c'è un uomo a cui si scioglie la faccia che incontra una bambina a cui si scioglie la faccia e solo un rossetto sulle labbra gli permette di ricomporla. C'è un signor W che pratica la poligamia in segreto, e «a volte si atteneva scrupolosamente al finché morte non vi separi, in certi casi, annoiato a morte, se ne andava su due piedi così come era arrivato su due dita nelle gole delle sue spose bulimiche». C'è una storia che si intitola La coscienza di Xeno, con questo Xeno che vi racconta le sue peripezie in Italia, un paese con una costituzione «chiara come una falsa bionda: L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro. In realtà aveva mentito sapendo di mentolo, di metanolo, sapendo di mentire. L'Italia a conti fatti era una repubblica fondata sul capolavoro, sull'arte e sua sorella la letteratura. E sul dopolavoro: operai, impiegati, dirigenti, disoccupati cosmici che anziché giocare a briscola ormai si cimentavano da disoccupati cronici in improbabili sfide al videopoker». Oggi bisognerebbe solo aggiungere il reddito di cittadinanza, chissà cosa ne avrebbe scritto Pinketts, al quale tutti i giornali hanno dedicato grandi pagine di necrologi ma da vivo nessuno lo pagava abbastanza.
Si è inventato perfino una gang che si chiama la Pigna Meccanica, che attacca i campi degli extracomunitari: «i cinque della Pigna Meccanica a modo loro erano delle personcine a modo. Si limitavano a razziare il razziabile senza essere razzisti». Oppure un scrittore che decide di farsi tatuare una tata. Oppure una mamma di cui tutti hanno paura, perfino i propri figli, Mamma Paura. Oppure la storia di un uomo verde, «verde come un gelato al pistacchio, sono verde come l'assenzio, sono verde come un pisello in forma umana, sono verde come l'Irlanda, sono verde come il credo di un ambientalista, sono verde come la cravatta di un leghista, sono verde come il vomito di Linda Blair ne L'esorcista», un uomo che va in giro a pestare tutti, nel racconto Pesto alla milanese.
Ogni racconto è illustrato da quadri della sua fidata amica e amante, Alexia, che era anche il principale argomento di conversazione tra me e lui, mi parlava solo di lei. Alexia gli aveva salvato la vita facendogli fare le analisi epatiche, Alexia si occupava di gestire la sua pagina internet, Alexia gli è stata vicina fino alla fine, a Alexia si rivolge in tutti gli ultimi scritti vergati in ospedale, magari auspicando «che un caffè nero bollente alla Fiorella Mannoia vi allaghi lo scroto infuocandolo dicotomicamente. Ma non ditelo voi. Lo dico io. Al massimo Alexia».
Questo ultimo, esilarante e triste libro di Pinketts è uscito ora, con la consapevolezza dell'autore che sarebbe uscito postumo. E con quella consapevolezza tragicomica, in una delle sue ultime pagine scritte prima di morire, ci dice che «è bello fare gli spettatori, gli attori, i deus ex machina venuti forse dal nulla per scomparvi dentro a missione compiuta.
Aristotele ci avrebbe applaudito di gusto da sostenitore della abiogenesi: che bella cosa è che delle creature possano avere origine da sostanze inorganiche. Non esistiamo ma esistiamo. Peccato che per non esistere ormai c'è troppa notte».
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