nostro inviato a Venezia
Film-esperimento, perché è un modo nuovo di «fare» cinema, film-terrore, perché i produttori hanno paura di ciò che può succedere, film-spartiacque, perché il dopo è già arrivato... Beasts of No Nation non è solo un film, e non è un film qualunque: presentato ieri alla mostra del cinema di Venezia, è un'opera diversa, al di là del valore estetico. È la prima grande produzione cinematografica «da festival» di Netflix, il servizio di streaming online a pagamento popolarissimo negli Usa e che a ottobre sbarcherà in Italia: la nuova frontiera della tv - e ora appunto anche del cinema - via web. Se posso vedere comodamente su Internet, appena uscito dai festival, a poco prezzo (circa 8 euro al mese) persino un film candidato al Leone d'oro o all'Oscar, significa che nulla sarà più come prima.
Già, che succederà dopo che Beasts of No Nation , a pochi giorni dalla proiezione al Lido e dopo un passaggio al festival di Toronto, andrà online? E cosa succederà, facciamo un'ipotesi neppure troppo fantasiosa, se il film tornasse a casa da Venezia con un premio importante?
Il regista è Cary Fukunaga, padre della serie-culto True detective , la sceneggiatura è tratta da un romanzo di Uzodinma Iweala, storia durissima di un bambino-soldato (di quelli che piacciono all'Academy) e di un disumano Signore della guerra (Idris Elba, attore lanciatissimo) in un paese dell'Africa occidentale, ma che confina metaforicamente con le terre dei tagliagole dell'Isis. Film crossover tra l'impegno e il mainstream, quindi perfetto per diventare un caso.
Ma il vero caso, rivoluzionario, è la decisione Netflix di far uscire il film in America già il 16 ottobre, e in contemporanea sia online sia nei cinema, tanto da scatenare minacce di boicottaggio da parte delle più importanti catene distributive, insofferenti alla concorrenza on demand. Da noi la proiezione nelle sale sarà completamente bypassata, obbligando di fatto chi vorrà vedere il film ad abbonarsi a Netflix.
Il creatore della società statunitense Reed Hastings tempo fa disse che «La mia Netflix romperà la tv». Nata nel 1997 per noleggiare dvd via Internet, nel 2008 iniziò a offrire anche un servizio di streaming online on demand, dovendo però fare i conti con i vecchi network tv. Poi il boss americano ha capito che «l'unico modo per controllare i diritti globali di un programma è produrlo», e così Netflix ha realizzato centinaia di ore di contenuti originali, serie tv come House of Cards o Orange is the New Black . Ora - mentre le quotazioni a Wall Street volano e l'Internet television sta cambiano il modo di guardare i programmi e anche di pensarli - Netflix si è messa a produrre un film così d'autore e così pop da arrivare in concorso a Venezia. E il direttore Alberto Barbera, il quale ce l'ha coraggiosamente portato, è sicurissimo: «Il modello Netflix, per quante polemiche susciti, è una realtà con cui fare i conti, non da attaccare. La diversificazione delle piattaforme su cui vedere cinema è ormai un fatto quotidiano e le abitudini del pubblico si modificano velocemente. Da qui non si torna indietro. Mi spiace: certo il grande schermo è incomparabile, ma la sala non sarà più l'unico luogo dove vedere un film».
La net television ha lanciato la sfida e ora tocca ai broadcaster e ai distributori tradizionali decidere come rispondere. Andrea Scrosati, vicepresidente di Sky Italia, che ha prodotto serie tv di successo come Gomorra e 1992 , l'ha già detto e lo ripete: «Ben venga Netflix, ma non è una novità. Sky ha da tempo lo streaming on demand, e usufruibile in mille modi diversi...» E in effetti il telespettatore, in Italia, può già scegliere tra offerte simili a Netflix, da Sky online, appunto a Mediaset Infinity. «Di sicuro quello sta facendo Netflix non cambierà il modello di business attuale, né modificherà le nostre strategie - aggiunge Giampaolo Letta, amministratore delegato di Medusa - ma certo aiuterà ad accorciare i tempi lunghi di distribuzione tra l'uscita del film in sala e il suo sfruttamento sulle piattaforme on demand, e questo è un bene. Certo però che se un film ambisce, come Beasts of No Nation , ad essere vero cinema, allora non può non andare in sala». Che non è l'idea di Andrea Occhipinti, fondatore di Lucky Red e presidente dei distributori ANICA: «In America la fruizione di cinema attraverso le piattaforme digitali continua ad allargarsi, e il consumo di film ha molte modalità: canali televisivi tradizionali, pay tv, pc, tablet, ma anche la vecchia sala cinematografica, che esisterà sempre. In Italia accadrà lo stesso. Al pubblico interessa poco che un film passi da un festival o no, o chi lo produce, o dove lo vede... Sceglie ciò che gli piace e va a prenderselo dove lo trova. Se per vedere la sua serie preferita deve abbonarsi a Netflix, si abbona. Se vuole andare al multisala con gli amici, ci va. I film via web non tolgono nulla al cinema, aggiungono».
«Ma è un fatto - pensa Piera Detassis, direttrice di Ciak - che anche il mondo nuovo del cinema via web poi alla fine ha bisogno di Venezia. Netflix può dire che andare nelle sale non fa parte del suo business, e va bene. Poi però passare dalle sale del Lido, fra red carpet e grande stampa, serve eccome». E infatti siamo qui in Sala Darsena a vederlo.
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