Cultura e Spettacoli

«Elektra» un'opera tra alti e bassi (di volume)

La potenza dell'orchestra di Richard Strauss per Elektra, la tragedia in un atto di Hugo von Hofmannsthal che ripercorre il mito eschileo-sofocleo, da l'impressione di un volume ciclopico. Se il direttore ha la mano un po' pesante, quell'orchestra potrebbe abbattersi sugli interpreti come il crollo delle mura di Micene. Recenti audizioni, anche scaligere, sotterravano appunto i cantanti sotto valanghe sonore, e i timpani ancora ricordano il dolore. Non è stato il caso nell'attuale ripresa di Elektra alla Scala. Si trattava del noto allestimento, icastico e raggelante, firmato dal compianto regista Patrice Chéreau. Sul podio, un Nestore della direzione, Christoph von Dohnányi, ha consentito di ascoltare più l'encomiabile sforzo di Ricarda Marbeth (Elektra) e Regine Hangler (Crisotemide) che l'antica classe della veterana Waltraud Meier (Clitennestra), e soprattutto di godere della sicurezza e intonazione di un gran Michael Volle (Oreste). Un po' meno udibili gli interventi violenti delle ancelle di casa, che comunque di solito scagliano il loro rancore verso l'infelice principessa micenea con latrati vocali. Certo, poi non si dovrebbe ascoltare, come accaduto in questi giorni per incombenze legate al centenario della nascita di Brigit Nilsson, le recite dal vivo di Elektra con la formidabile voce d'acciaio del fenomeno svedese, la quale è accompagnata dall'incisiva solidità di un direttore come Karl Böhm.

Altrimenti si capisce che a favorire l'alleggerimento generale non c'era solo esperienza e sensibilità, ma anche un po' di senescente stanchezza.

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