Elo Foti, colonna degli Esteri e gentiluomo del "Giornale"

Una cosa sola mi fa dispiacere più della sua morte repentina e inattesa: il fatto che, siccome dei defunti è costume dir solo bene, alcuni penseranno che lo farò per dovere. E invece no

Elo Foti, colonna degli Esteri e gentiluomo del "Giornale"

Una cosa sola mi fa dispiacere più della sua morte repentina e inattesa: il fatto che, siccome dei defunti è costume dir solo bene, alcuni penseranno che lo farò per dovere. E invece no. Di Elo Foti, del nostro glorioso amico e collega, giovanile e sportivo, motociclista a 75 anni, anima per decenni della redazione Esteri del Giornale (finché ce n'è stata una) solo bene si poteva parlare. Raramente è dato di incontrare una persona più buona e pulita, in tutti i sensi, e noi soprattutto così lo ricorderemo: l'unico, in un mondo di millantatori e imbroglioni, che a chi lo chiamava «dottore» immancabilmente replicava «Non sono dottore».

Ciò premesso, Elo Foti era un giornalista bravissimo. Era entrato nei nostri ranghi con un percorso insolito, dopo aver lavorato nella segreteria di redazione (erano gli anni ruggenti di Indro Montanelli). Ma presto ai «piani nobili» avevano capito che la sua cultura, la sua preparazione e la sua autentica passione meritavano un altro impiego. Elo non nascondeva le sue origini umili, l'aver lavorato in gioventù all'estero «da emigrante», ed era orgoglioso di essersi fatto da solo. Parlava perfettamente (non è un modo di dire: il suo innato talento era impressionante) cinque lingue e si arrangiava benissimo in altrettante, e questo lo indirizzò secondo logica agli Esteri, dove riversò tutto il suo entusiasmo e la sua competenza. Innamorato del lavoro, arrivava sempre per primo in redazione, divorava ogni giorno tutta la stampa internazionale, da quella impegnativa come la Frankfurter Allgemeine Zeitung o il Wall Street Journal a quella più leggera come il Sun o la Bild Zeitung.

Sapeva far bene tutto, dall'impaginazione alle interviste e agli articoli, ma la sua innata umiltà lo spingeva per paradosso a comparire solo occasionalmente con la sua firma. Era fatto così, avrebbe potuto tirarsela per la sua bravura, puntare a far carriera, ma non gli interessava.

Per lui era più importante essere a posto con se stesso, e lo faceva a volte in modo provocatorio, quasi a voler dimostrare che le sue priorità erano più elevate: come quando ricordò a uno stupefatto Vittorio Feltri, che fresco di nomina direttoriale era cortesemente venuto a salutare i nuovi colleghi, che nella redazione esteri non avrebbe potuto fumare. Poi ci andò d'amore e d'accordo: non era dottore nemmeno lui.

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