Cultura e Spettacoli

Enrico Caruso dai vicoli di Napoli alla gloria

Il grande tenore a 15 anni era uno scugnizzo senza un centesimo e respirava l'aria musicale che, sin dal '700, aveva fatto di Napoli uno dei sacri templi della musica europea. Si divideva tra le sacrestie e le strade del rione San Giovanniello, tra il canto liturgico in chiesa e il canto girovago dei posteggiatori

Da Wikipedia
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A ripercorrere gli esordi del «re dei tenori» Enrico Caruso (1873 - 1921) narrati da Maurizio Sessa in Caruso & friends (Florence Art Edizioni), emerge tutta la «napoletanità» di uno dei padri della vocalità belcantistica italiana. Il grande tenore, a 15 anni era uno scugnizzo senza un centesimo e respirava l'aria musicale che, sin dal '700, aveva fatto di Napoli uno dei sacri templi della musica europea. Caruso, così, si divideva tra le sacrestie e le strade del rione San Giovanniello, tra il canto liturgico in chiesa e il canto girovago dei posteggiatori, giovani che animavano la vita musicale di Napoli. E Caruso era uno di loro, un cantante di caffè e trattorie con la passione della lirica che, spesso con biglietti di fortuna, riusciva a salire nei loggioni dei teatri.

Fu quella la sua prima scuola fino a quando, nel 1891, durante un'esibizione per racimolare qualche spicciolo nella rotonda dello stabilimento Risorgimento, venne notato da Eduardo Missiano, baritono, allievo del maestro Guglielmo Vergine, uno dei didatti più stimati della città. Grazie a quel suo primo «friend», per dirla con Sessa, il diciannovenne Caruso si affidò alle cure di Vergine il quale, assicuratosi il 25 per cento dei futuri introiti, agevolò l'ingresso di Carusiello («diminutivo che in napoletano significa salvadanaio») nello staff del librettista e pigmalione Nicola Daspuro. Grazie a lui Caruso ottenne la prima scrittura che lo portò a essere tenore di successo planetario: «Interprete carismatico, d'intelligenza musicale superlativa, ha saputo divulgare nel mondo l'immenso patrimonio del melodramma - nota Andrea Bocelli nell'introduzione -. E poi fu un grande visionario, comprese per primo le enormi potenzialità della nascente industria discografica».

È vero: era il 1902 e alla Scala, durante una rappresentazione della Germania di Franchetti, Caruso fece breccia sui fratelli americani Fred e Will Gaisberg, in Italia per incidere su cera la voce di Leone XIII, i quali ottennero dal tenore l'incisione di un disco con dieci arie d'opera: «La voce di Caruso si librò nell'aere, divenne il telegrafo senza fili del melodramma.

Furono i dischi con il suo canto, incisi in Italia, che richiamarono l'attenzione dei teatri americani».

Caruso & Friends

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