A lui si è ispirato il Tom Hanks di Forrest Gump; è stato un esempio per Jim Carrey e da noi Celentano ha copiato pari pari le sue smorfie scimmiesche e le sue contorsioni. Jerry Lewis, simbolo della comicità e dell'entertaiment hollywoodiani anni '50 e '60, se n'è andato ieri a 91 anni.
Era in assoluto il più grande attore comico del secolo precedente: grazie alla straordinaria mimica facciale e alla sbalorditiva genialità di intrattenitore, è riuscito a segnare un epoca. Ambizioso, esilarante, esplosivo, esagerato; un vortice di aggettivi non sarebbe sufficiente per delineare il profilo di un artista talmente grandioso e versatile.
Era un solitario che soffriva di solitudine e la sua comicità, venata di melanconia, rifletteva il suo carattere. Recitava spesso il ruolo del «picchiatello», del tenerone poco intelligente dalla voce chioccia, dall'andatura dinoccolata e dalle smorfie subnormali. Figlio d'arte, di una famiglia di origine ebraica (il padre era un attore di vaudeville, la madre una pianista) diventa famoso quasi per caso.
Viene al mondo dopo un parto travagliato: i medici usano talmente tanto etere che il bimbo appena nato, rimane privo di sensi per oltre due giorni. I chirurghi allora, propongono di intervenire con un'operazione all'encefalo; sarà la nonna materna, Sarah, che lo accudirà con amore fino all'adolescenza, ad opporsi fermamente a questa decisione. E lui la ricambierà facendola divertire con buffe gag. Dopo una infanzia travagliata e continui spostamenti con i genitori e pessimi risultati a scuola (fu cacciato dopo aver dato un pugno a un insegnante che aveva detto una frase antisemita), comincia a fare molti lavoretti. Trova impiego grazie al padre in un rinomato hotel gestito da ebrei. Nei momenti di svago, il 15enne si diverte a rallegrare i colleghi coetanei, con i sui numeri folli. Il suo più fervido ammiratore diviene Irving Kaye, facchino di mezz'età che persuade il giovane a intraprendere la carriera nel mondo dello spettacolo. Da lì inizia la sua fortuna. Kaye fa scritturare Jerry nei night club di Brooklyn: il talento del giovane non passa inosservato, ben presto viene ingaggiato nei maggiori teatri di varietà della East-Coast. Lewis sarà sempre seguito amorevolmente da un'instancabile Irving, il quale lo sosterrà come un figlio.
Nell'estate del 1946, durante uno spettacolo, fa debuttare un aitante ed elegante crooner di origine italiana, tal Dino Crocetti, in arte Dean Martin, con cui forma una coppia spassosa e di grande fortuna prima nei night club, poi alla radio e in televisione e infine sul grande schermo. Dopo la guerra il pubblico si aspettava una comicità nuova, mentre i fratelli Marx e Stanlio e Ollio arrivavano al loro capolinea creativo e coppie come Bob Hope e Bing Crosby apparivano ormai superate. I loro film per la Paramount furono grandi successi commerciali (che risollevarono anche le sorti del grande schermo - oscurato dal dilagare della televisione nelle case - più del cinemascope) a partire da La mia amica Irma e Irma va a Hollywood (celeberrima la gag in cui Lewis fa una gara a chi fa più smorfie con uno scimpanzè che fuma, beve whiskey e gioca a carte) passando per Il nipote picchiatello, Artisti o modelle, Hollywood o morte. «Il bello e lo scemo» facevano impazzire il pubblico tanto che - dal 1952 - Hollywood non si lasciò sfuggire l'occasione di fare un po' di dollaroni anche con la serie di fumetti The Adventures of Dean Martin and Jerry Lewis.
La fortunata collaborazione tra Martin e Lewis durò esattamente dieci anni e la rottura fu ufficializzata durante uno show al noto Copacabana di New York. I motivi? La gelosia di Martin, l'aitante Martin che faceva impazzire le donne ma era diventato poco più di una comparsa nei film di Lewis.
Senza il partner Lewis si dedicò, ancora quasi per caso, alla regia, improvvisando film con soggetti spassosissimi e demenziali a budget molto basso (di cui era anche protagonista) come Ragazzo tuttofare (il suo debutto alla regia, omaggio a Stan Laurel), L'idolo delle donne, Le folli notti del dr Jerryll, I sette magnifici Jerry. Anche come regista fece centro e fu particolarmente apprezzato in Francia dove Jean Luc Godard disse di lui: «Jerry Lewis è l'unico regista americano al giorno d'oggi che cerca di sperimentare qualcosa di nuovo e originale nei propri film; è molto meglio di Chaplin e Keaton».
La critica ideologizzata italiana dell'epoca invece lo considerava come un Totò di Hollywood prima della rivalutazione e la sua arte fu riconosciuta soltanto da coloro che lo videro in Re per una notte di Martin Scorsese, dove interpretava se stesso accanto a Robert De Niro(1985) e dalla Mostra del Cinema di Venezia targata Alberto Barbera (1999) che si ricordò di lui con un Leone alla carriera, che venne a ritirare personalmente, nonostante gli acciacchi e le malattie che lo hanno afflitto (dall'assunzione di steroidi ai problemi di cuore, dalla meningite virale al tentativo di suicidio) condizionandone l'attività negli ultimi decenni della sua vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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