Famiglie, storia, potere. Tutti i conflitti della Laguna

I film in concorso esplorano dispute e guerre nei loro aspetti intimi, sociali, politici. Per finire in biblioteca...

Famiglie, storia, potere. Tutti i conflitti della Laguna

da Venezia

Il cinema di per sé non è chiamato a risolvere i conflitti, cosa cui devono pensare la politica e le coscienze individuali. Ma deve scovarli, indagarli, raccontarli. Mostrarli. E così la Mostra di Venezia ha scelto inconsapevolmente? il tema del conflitto come filo rosso, per nulla sottile, che lega (quasi) tutti i film in concorso: ventuno opere che, visione dopo visione, sugli schermi del Lido fanno scoppiare guerre silenziose, dissidi sociali, dispute familiari, battaglie legali, divergenze generazionali. Lo scontro è il motore di qualsiasi racconto, è vero: ma mai come questa volta un grande festival riesce, nel cartellone delle pellicole che si giocheranno il premio più ambito, a declinarlo in tutte le tipologie narrative (film storico, politico, sentimentale, psicologico, sociale...) e nei diversi generi (fantasy, commedia, fantascienza, dramma, film d'autore e blockbuster hollywoodiano...). Non a caso Venezia, dopo l'apertura col grandioso film-passerella di Guillermo del Toro (una favola d'amore ultraterrena sullo sfondo, guarda caso, della Guerra Fredda), ha lanciato la sfida per la vittoria finale con L'insulto di Ziad Doueiri, vero film-manifesto della Mostra (si dice anche sia il preferito del direttore Alberto Barbera) dove con una forza teorica straordinaria l'infinito conflitto medio-orientale è filtrato attraverso il litigio, prima, e lo scontro in tribunale, poi, di un palestinese e un libanese, duellanti conradiani ai tempi dei guerriglieri dell'Olp. Ieri, invece, è stato proiettato Lean on Pete di Andrew Haigh, storia di un ragazzino in conflitto coi genitori (lei fuggita subito di casa perché interessata troppo a divertirsi, lui morto troppo presto perché interessato troppo alle donne degli altri) al quale non rimane che riversare il proprio affetto su un cavallo da corsa destinato ad essere abbattuto, in un impietoso confronto-contrasto che non è solo intimo, ma generazionale. E poi tutti gli altri... Oggi passerà Suburbicon di George Clooney, film che gira tutto intorno, e dentro, una famiglia apparentemente modello, perfettamente integrata in una piccola comunità apparentemente idilliaca: i luoghi migliori per far deflagrare tensioni irrisolvibili, con effetto-coda di violenze, inganni e tradimenti. La famiglia, già. Quella raccontata da Robert Guédiguian nel film La villa, location magica e impietosa per fare il bilancio dei (contraddittori e conflittuali) ideali di un padre e dei suoi tre figli, nel bel mezzo di un dilemma tra inclusione o esclusione... O quella, lacerata da odi e (ancora una volta) vicende processuali, messa in scena da Xavier Legrand in Jusqu'à la garde. O quella lacerata da rabbia e rimorsi, e conflitti psicologici devastanti, attorno alla quale ruota la coppia, con figlio soldato ammazzato, di Foxtrot dell'israeliano Samuel Maoz. E poi ci sono i dissidi, diciamo così, di Una famiglia (è proprio il titolo) del nostro Sebastiano Riso...

Tutto è lotta, confronto, battaglia. A volte plateale (tra le due Cine, quella turbo-capitalista e quella vetero-maoista, dove si contrappongono due studentesse molestate e un alto papavero comunista in Jia Nian Hua della cineasta indipendente Vivian Qu). A volte più sottile (lo scontro tra una madre disperata e la freddezza del Potere in Three Billboards Outside Ebbing di Martin McDonagh). Altre consequenziale: cosa c'è dietro la tragedia dei rifugiati di tutto il mondo filmata da Ai Weiwei in Human Flow se non conflitti economici, militari, sociali e politici? Persino nell'esagerato Ammore e malavita dei Manetti Bros, tra action e musical, in una Napoli da sceneggiata, il tema centrale non è la camorra, e forse neppure l'amore tra un temuto killer e una infermiera sognatrice. Ma il conflitto sociale...

Quanto odio e contrapposizioni in Mostra. Occorrerebbe un luogo dove accoglierli tutti, per provare a pacificarli e risolversi, o almeno discuterli, appianarli, comprenderli. E forse Venezia l'ha trovato.

E se fosse la biblioteca pubblica di New York, una delle più grandi istituzioni del Sapere nel mondo, che è al centro (per tre ore, senza una trama ma con mille storie) del film Ex libris del maestro Frederick Wiseman, ultimo (in ordine alfabetico) regista in concorso? Aperta a tutti, luogo per eccellenza di accoglienza, apprendimento e scambio culturale, la biblioteca - ci dice Wiseman - è il più formidabile Ideale di inclusione, democrazia e libertà d'espressione che esista. L'antidoto infallibile per tutti i conflitti. Non solo cinematografici.

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