Fantastico Zagor Stesso «spirito» ribelle dal fumetto al film

elsettembre 2006, a Randy Pausch, un professore di Informatica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Pennsylvania, fu diagnosticata una malattia incurabile, che lo portò alla morte nel 2008. Il 18 settembre 2007 l'insegnante tenne la sua ultima lezione, davanti a 400 studenti. Da quell'esperienza sono nati un libro, Last Lecture, e un video che è divenuto un evento mediatico. In essi, Pausch, nonostante il proprio dramma personale, sa essere diretto, sincero, coinvolgente e persino divertente. Uno dei suoi consigli alla platea è l'invito a cercare di realizzare i propri sogni d'infanzia. «Io sognavo, sognavo sempre», dice Randy a un certo punto.
Anch'io potrei dire la stessa cosa. Zagor mi ha fatto vivere mille sogni e ne ha avverato uno. Quando, da ragazzo, leggevo le avventure scritte da Guido Nolitta e avrei dato chissà cosa per potere, un giorno, raccontare anch'io storie così belle. Il destino (o chi per lui) me ne ha dato la possibilità. La storia del mio imprinting zagoriano è, in realtà, quella di tantissimi altri ragazzi, altrettanto affascinati dalle storie che Guido Nolitta, mese dopo mese, per quasi vent'anni ha inanellato in una serie che sembrava non dovesse avere mai fine. Chi ha letto nei miei stessi anni le avventure dello Zagor dell'Epoca d'Oro non potrà mai dimenticare le insidie di Hellingen, la minaccia del Re delle Aquile, il dramma dell'Odissea Americana e le tante altre fantastiche avventure disegnate da Gallieno Ferri.
Qualche anno fa, nella rubrica della Posta di un albo dell'eroe di Darkwood, un lettore confidava a Bonelli: «So di aver avuto un'infanzia splendida, grazie a Zagor». Le stesse parole che avrei voluto scrivere io. Magari io sognavo, fra le tante altre cose, di diventare uno scrittore, ma ad altri sarà capitato di volare con la fantasia in terre lontane, viaggiare in paesi esotici, condurre un'esistenza libera dai vincoli, talvolta opprimenti, della società contemporanea.
«Io mi sento come Zagor», canta Ligabue in Freddo cane in questa palude. Sentirsi come Zagor: capace anche di vivere libero, di reagire ai soprusi, di lottare per ciò che si ritiene giusto ma, cosa importantissima, non ritenendo niente giusto a priori, perché nessuno ha la privativa della bandiera della verità e anche i mostri hanno diritto alla redenzione.

La vita gliel'ha insegnato, a Patrick Wilding (questo il vero nome del nostro eroe): gli assassini di suo padre si erano voluti vendicare di una strage da lui compiuta a loro danno, in anni passati, e la dura vendetta del giovane ha di nuovo riportato in disparità il piatto della bilancia, rischiando di innescare una spirale d'odio senza fine. E citando il nome «Patrick» non riesco a trattenere un sorriso di autocompiacimento: quel nome gliel'ho dato io. Nolitta non ci aveva mai pensato.
* sceneggiatore di Zagor

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