Cultura e Spettacoli

Il fardello dell'uomo Churchill. Una vita a caccia di grandezza

Andrew Roberts ricostruisce, anche con fonti inedite, l'esistenza del politico che salvò la Gran Bretagna

Il fardello dell'uomo Churchill. Una vita a caccia di grandezza

Quando, nel gennaio 1927, sir Winston Churchill, che si trovava in Italia in visita privata insieme alla moglie Clementine e ai figli Sarah e Randolph, ebbe l'opportunità di incontrare Benito Mussolini, rilasciò alla stampa una dichiarazione che in seguito gli venne rimproverata, da molti connazionali, come sconveniente. Disse che il fascismo aveva «reso un servizio al mondo intero» e precisò: «se fossi un italiano, di certo sarei stato al vostro fianco con tutto il cuore fin dall'inizio alla fine della lotta trionfante contro gli appetiti e le passioni bestiali del leninismo». Ma aggiunse una battuta che tanto biografi dimenticano di citare e che, a ben vedere, ridimensiona l'apprezzamento per il fascismo: «In Inghilterra non abbiamo dovuto affrontare questo pericolo nella stessa maniera micidiale. Noi abbiamo un nostro modo di fare le cose».

Churchill, peraltro, in occasione della crisi di Corfù del 1923, si era espresso in termini assai negativi nei confronti di Mussolini arrivando a definirlo «un maiale» per come l'Italia aveva gestito quella crisi che, a suo parere, avrebbe dovuto essere risolta in maniera completamente diversa senza far ricorso alle armi e affidandosi alla Società delle Nazioni. Poi il giudizio sul capo del fascismo era cambiato al punto che, in taluni ambienti, si cominciò a parlare di una «amicizia» fra i due e della esistenza di un carteggio politico scottante. All'inizio degli anni cinquanta Indro Montanelli, che si trovava in Costa azzurra nella villa di Lord Beaverbrook, ebbe occasione di incontrare Churchill, che era anch'egli ospite del grande editore e politico inglese, e affrontò con lui il tema del rapporto con il Duce.

Ebbe la conferma che per il Mussolini d'anteguerra, Churchill aveva avuto davvero «simpatia sia pure corredata da un certo disprezzo» per l'Italia e gli italiani e raccontò che «di Piazzale Loreto parlava con un miscuglio di rabbia e di pietà».

A proposito del mutamento di giudizio di Churchill nei confronti di Mussolini, lo storico inglese Andrew Roberts nel suo recente e monumentale lavoro intitolato Churchill. La biografia (Utet, pagg. 1406, Euro 46), dopo aver osservato che «sarebbe stato meglio per la sua reputazione» se avesse mantenuto la sua iniziale opinione negativa riguardo al dittatore italiano, spiega che egli, poco alla volta, cominciò a considerare il dittatore italiano «un baluardo contro il comunismo, di cui temeva la diffusione in Occidente nell'Europa del dopoguerra». Nel 1927, in effetti, quando ebbe luogo il primo incontro fra i due, Mussolini era all'apice del suo successo: aveva superato la crisi del delitto Matteotti, si era liberato delle opposizioni e stava consolidando la costruzione del regime. La frase di Churchill deve essere contestualizzata in questa situazione: non già, quindi, un elogio a quel tipo di regime ma piuttosto la presa di coscienza che il fascismo era riuscito a sconfiggere il comunismo sia pure con mezzi che gli inglesi non avrebbero utilizzato. Sotto un certo profilo, dunque, le parole dello statista britannico, che all'epoca era Cancelliere dello Scacchiere, ne dimostrano la spregiudicatezza e il pragmatismo che caratterizzarono la sua azione politica.

La bella e simpatetica biografia che Roberts ha dedicato a Winston Churchill è, per molti aspetti, definitiva perché ne tratteggia in maniera mirabile la sfaccettata personalità senza tacerne i lati più discutibili e problematici e senza nasconderne taluni errori politici. Rispetto alla accurata e gigantesca biografia «ufficiale» di Martin Gilbert completata nel 1988 e a quella dell'americano William Manchester le due più significative di una immensa bibliografia l'opera di Roberts si caratterizza per l'utilizzazione di materiali e documenti inediti, a cominciare dai diari privati del re Giorgio VI messi a disposizione dell'autore dalla regina Elisabetta II. Essa ripercorre l'intera vita di Churchill, rampollo di una antica e nobile famiglia, dalla nascita nel 1874 nella principesca dimora del Blenheim Palace fino alla morte, avvenuta nel 1965 nella sua casa londinese, e lo fa con efficace verve narrativa e con rigore storico.

Versatile ed eccentrico, Churchill era di bell'aspetto, alto e con gli occhi di un colore azzurro e d'uno sguardo intenso che aveva colpito la futura moglie Clementine quand'ebbe occasione di conoscerlo nel corso di una cena. Aveva avuto, in gioventù, una bella capigliatura dal colore biondo rossiccio che, con l'andar del tempo, si era diradata fino a fargli assumere l'aspetto che tutti conoscono: un volto rotondo, stempiato, con la fronte alta, pensoso e fermo ma sottilmente ironico.

Dotato di autoironia e di senso dell'umorismo, uomo di profonda cultura umanistica, storica e letteraria, Churchill ebbe sempre di sé, sin dalla più tenera età, un'altissima considerazione al limite dell'egocentrismo. A sedici anni, per esempio, disse a un amico che avrebbe salvato la Gran Bretagna da una invasione straniera. Il suo patriottismo, l'amore per la Gran Bretagna cioè, era radicato profondamente in lui e si nutriva di un conservatorismo profondo e istintivo, retaggio di quella figura paterna alla quale Roberts (a differenza di molti altri biografi) attribuisce una grande importanza. Churchill, in fondo, fu sempre un conservatore di vecchio stampo alla Disraeli, anche quando si trovò a militare nelle file dei liberali. Credeva nel «destino» imperiale e nella grandezza «civilizzatrice» del suo Paese con quegli stessi sentimenti che avevano ispirato un grande scrittore a lui molto caro, Rudyard Kipling, a parlare del «fardello dell'uomo bianco». Di qui, probabilmente, certe sue affermazioni e posizioni che, anche recentemente e in ossequio al politicamente corretto, sono state bollate come «razziste» dimenticando che esse dovrebbero essere contestualizzate con il sentire dell'epoca e non giudicate anacronisticamente in base alle convinzioni di oggi.

La sua vita incrociò i grandi avvenimenti dell'ultimo scorcio del secolo XIX e della prima metà del XX: la lotta di Cuba contro la Spagna, le rivolte in India e nel Sudan, la Guerra anglo-boera, il Primo conflitto mondiale e via dicendo. Il titolo originale della biografia di Roberts, Walking with Destiny (Camminando con il destino) rispecchia, sotto un cero profilo, il senso della vita di Churchill, che troverà il suo culmine nel 1940 nella nomina a primo ministro per guidare la lotta contro i nazisti.

L'opposizione di Churchill al totalitarismo nazista non ammetteva cedimenti. Lo conferma una sua battuta: «Non odio nessuno, eccetto Hitler». Del resto di fronte alla politica di appeasement di Chamberlain culminata con gli accordi di Monaco era stato lapidario: «Poteva scegliere tra la guerra e il disonore. Ha scelto il disonore e avrò comunque la guerra». Ma accanto all' antinazismo c'era, in Churchill, una altrettanto forte avversione nei confronti del comunismo sovietico al punto che, una volta, egli disse che il buon Dio doveva esistere davvero perché «l'inferno per Lenin e Trotsky era indispensabile». Non è un caso che la «guerra fredda» ebbe simbolicamente inizio col discorso di Fulton del 5 marzo 1946 col quale Churchill denunciando la «Cortina di ferro» calata sul continente europeo da Stettino a Trieste decretava, in certo senso, la fine della grande alleanza di guerra fra democrazie occidentali e Urss in chiave antihitleriana.

Che Churchill abbia compiuto errori o fatto scelte discutibili è comprensibile. Roberts, per esempio, osserva che egli sbagliò durante la crisi dell'abdicazione di Edoardo VIII, mentre altri studiosi (a cominciare da Enrico Serra) gli hanno rimproverato la pretesa di imporre all'Italia la resa incondizionata. Ma, al netto di tutto ciò, rimane il fatto che sir Winton Churchill è un gigante che ha salvato la civiltà occidentale e contribuito alla rinascita e al rinnovamento del conservatorismo. col trascorrere del tempo, ci si rende sempre più conto che, per usare le parole di Henry Kissinger, «i suoi giudizi sulle tendenze della storia erano sempre perspicaci e spesso profondi».

Il che non è davvero poco.

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