Cultura e Spettacoli

«Fece entrare l'Italia nella modernità Ecco il mio Longanesi»

Il giornalista più «longanesiano» di oggi cura un'antologia di pensieri e aforismi per i 70 anni di attività della casa editrice

Luigi Mascheroni

Nel 1946 il giornalista (e tante altre cose) Leo Longanesi creava a Milano la casa editrice che porta il suo nome. In occasione dei 70 anni di attività, la Longanesi festeggia il fondatore con un'antologia che ne raccoglie aforismi, epigrammi, brani celebri e meno celebri a cura di Pietrangelo Buttafuoco, Il mio Leo Longanesi (Longanesi, pagg. 256, euro 18,60), che sarà presentato al Salone del Libro di Torino domenica, con Buttafuoco e Francesco Merlo, «forse - secondo Buttafuoco - il più longanesiano del giornalisti italiani insieme con Giuliano Ferrara». A parte, naturalmente, Pietrangelo Buttafuoco.

Pietrangelo Buttafuoco, chi era Longanesi?

«Un grande artista che si è caricato di un destino: farsi forcipe della modernità in Italia. Spesso non capito o equivocato o banalizzato».

Cosa significa che occorre togliere Leo Longanesi al longanesismo?

«Significa che bisogna sottrarre alla natura vera di Longanesi il luogo comune, lo stereotipo, il pensare che sia solo un battutista, un uomo di spirito: Longanesi non è una specie di Flaiano più raffinato. Longanesi è il nostro Billy Wilder».

Non era solo un battutista, però con i suoi aforismi è l'anticipatore di twitter. O è un luogo comune anche questo?

«Lui aveva il genio tipico di un mestiere, il giornalismo, fatto di sintesi e icasticità, ma il suo vero talento sta altrove: nella profondità della sua sensibilità e del suo pensiero, nel sapere usare schemi diversi, cioè il giornalismo, la grafica, la pittura, persino il cinema...».

Longanesi fece cinema.

«E lo capì subito. Nel 1933 in un articolo su Il Film italiano dice che il nostro cinema è Una serie di cartoline patinate, messe in fila... Non è la recensione perfetta de La grande bellezza?».

Quanto ti manca, e quanto ci manca, Longanesi?

«In termini di spirito critico, tantissimo. La sua stessa vita lo spiega: il fascismo gli mise la sordina quando manifestava il suo dissenso, e poi la democrazia l'ha rimosso quando rivendicava il suo fascismo».

Perché abbiamo ancora bisogno di Longanesi?

«Perché nella storia di questa nostra Italia, lui ha inoculato i germi della disobbedienza, della creatività, della fantasia e del buon gusto. Longanesi non aveva bisogno della merda d'artista per scandalizzare. Gli bastava un frac».

C'è un Longanesi oggi?

«Se anche ci fosse non avrebbe un luogo dove esprimersi. L'Italia di oggi non può permettersi un Longanesi. Il fatto che un fuoriclasse come Massimo Fini - uno che se fosse vissuto in quegli anni avrebbe lavorato per il Borghese, Omnibus, L'italiano... - non possa scrivere oggi sul Corriere della sera, spiega quanto è forte la cesura tra giornalismo cosiddetto istituzionale e libero esercizio dello spirito critico».

Qual è il giornale che ha ereditato di più lo spirito longanesiano?

«Nel clima asfissiante dell'industria culturale italiana, sembra paradossale, ma chi ha attinto di più dagli insegnamenti di Longanesi è Repubblica. Il Corriere della sera non ha ereditato nulla, e Dio ce ne scampi dal giornalismo di destra...».

Longanesi diceva: «Mai come oggi così tanti asini scrivono sui giornali». È ancora così?

«Peggio. Longanesi in pieno dopoguerra riuscì a creare Il Borghese, che non era un giornale dell'establishment ma aveva una potenza e una raffinatezza di pensiero che nessuno ha saputo eguagliare. E lo faceva andando contropelo rispetto alle bandiere obbligate dell'epoca e radunando personaggi come Ansaldo, Montanelli, Henry Furst, Prezzolini... C'è qualcosa del genere in giro, oggi, in Italia?».

Cosa pensava Longanesi dell'Italia?

«Era profondamente, disperatamente, innamorato dell'Italia e per vivere a fondo questo suo sentimento la voleva conoscere nella sua forma peggiore: ne aveva consapevolezza come di una baldracca da far accomodare sul più elegante dei sofà».

E Buttafuoco cosa pensa dell'Italia?

«Ti rispondo come avrebbe fatto qualunque ragazzo degli anni più difficili: per me l'Italia è la patria».

Ci salveranno le vecchie zie?

«Ci salveranno gli eretici e i ribelli».

Longanesi era eretico e ribelle.

«Longanesi era un genio. Con il titolo Il vero Signore, che fece scrivere a Giovanni Ansaldo, pubblicò il libro in assoluto più fuori schema rispetto al canone dei finti borghesi che lo compravano. Con la Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell introdusse l'ateismo nelle case degli italiani. Con le sue copertine usò spregiudicatamente il nudo negli anni Cinquanta... Se non fosse morto a 52 anni chissà cosa avrebbe fatto...».

Che cosa avrebbe fatto?

«Sarebbe rimasto quello che era».

Fu un borghese o no?

«Fu un artista, e un artista non può essere un borghese».

«I borghesi in Italia sono sempre gli altri». Questa frase che c'è nel libro è di Longanesi o di Buttafuoco?

«Longanesianamente, non te lo so dire».

Tu dici che Longanesi costruì il fascismo ma non fu fascista.

«Se è per questo neppure il fascismo fu fascista. Il fascismo, che quando nasce e poi quando muore è qualcosa tra l'anarchia e il socialismo, aveva l'obbligo di mettere in opera gli istinti e gli entusiasmi di quel momento storico. Obbligo affidato peraltro a uno della stessa risma di Longanesi, cioè Mussolini. Un dettaglio non trascurabile».

Longanesi professava la religione del dettaglio: cosa significa?

«Che lui aveva chiaro il senso della superficialità e cioè che tutto ciò che emerge, come l'incresparsi delle onde, rivela un'agitazione negli abissi. Quando un gruppo di animosi borghesi, negli anni Cinquanta, si reca da Longanesi e, comodamente seduti con le gambe accavallate, gli presentano il programma di un nuovo grande partito, lui ascolta e li guarda con attenzione. Poi, finito di parlare, congeda gli ospiti sempre fissando quel dettaglio: E io dovrei fare un partito con gente che indossa quelle calze?, gli dice».

Tu sei cresciuto a pane e Longanesi: cosa gli devi?

«Intanto anche un certo gusto feticista per il libro, la creazione fisica, il manufatto... Ho ancora il ricordo dei libri della Longanesi che arrivavano a casa nostra, con le fascette, i pieghevoli, i bollettini... Crescevo e maturavo con i libri di Longanesi. Produceva cose che nessuno buttava via. Faceva un giornalismo che non si esauriva nella giornata, ma restava. Se leggi l'antologia scopri che, all'epoca, diceva e scriveva cose che hanno valore ancora oggi.

Dopo 70 anni, Longanesi è ancora qua».

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