Felice Maniero è un eroe? Nemmeno per fiction

«Faccia d’angelo» traccia del feroce bandito un ritratto troppo affascinante. Seguendo una moda pericolosa

Felice Maniero è un eroe?  Nemmeno per fiction

Partiamo dalla buona notizia: Faccia d’angelo, la miniserie in due puntate «liberamente ispira­ta » alla storia di Felice Maniero, boss del Brenta, è tecnicamente ineccepibile (la vedremo su Sky Cinema 1, in prima serata, il 12 e il 19 marzo). Il «poliziottesco» viene bene agli italiani fin dagli anni Set­tanta e Romanzo criminale (film e fiction) ha modernizzato la tradi­zione con successo artistico e commerciale. Ora la riscoperta del genere è un fenomeno: nelle sale c’è Acab , c’è stato Vallanza­sca; e in tv c’èappunto Facciad’an­gelo di Andrea Porporati.

Perfetto Elio Germano nell’in­carnare il criminale partito con i furti di bestiame, approdato alle rapine e infine giunto al controllo del Veneto secondo modalità che ricordano la mafia siciliana. Nella prima puntata assistiamo alla sua ascesa. Faccia d’angelo, detto «il Toso», si affilia alla mala locale, mettendosi al servizio di Arsena­le, un bandito che gestisce bische e spaccio. Il Toso capisce che il ca­po è un relitto del passato: si ac­contenta di percentuali ridicole e non vede le opportunità offerte dallo sviluppo del Veneto (siamo negli anni Ottanta, i capannoni spuntano come funghi).

Nella scena migliore, Ma­niero cerca di spiegare ad Arsenale cosa sia il Prodotto interno lordo e quanto cresca ogni anno entro i confini della regio­ne. Il vecchio non capi­sce, al contrario della ve­ra mafia in trasferta al Nord. Epilogo scontato: guadagnato l’appoggio dei clan, il Toso manda Arsenale al camposanto e diventa il doge del crimine. Ci sarebbe an­che la polizia, ma non riesce a sta­re al passo. Gli investigatori cerca­no di incastrare il Toso incrimi­nandolo di volta in volta per ogni singolo reato. Maniero se la cava sempre e sfugge alle volanti anche quando gli inseguimenti si svolgo­no in un territorio grande quanto un campo di calcio. Fino a quan­do un giudice non capisce che il re­ato da contestare alla banda è as­sociazione a delinquere di stam­po mafioso. Il che consente di svol­gere le indagini in tutt’altro mo­do.

Faccia d’angelo è simpatico:spi­ritoso, coraggioso, mammone, di­scotecaro, amante delle macchi­ne e delle belle donne. Non si na­sconde, ostenta ricchezza, ama il lusso. Certo, nella seconda punta­ta, assistiamo alla caduta, che tra­volge famiglia e amici. Anche la tragedia, però, sembra romanti­ca. E qui veniamo all’aspetto scon­certante di prodotti come questo. Maniero, prima di pentirsi, ha in­cendiato il Veneto: è stato accusa­to di sette omicidi, traffico d’armi, spaccio e associazione mafiosa. Oggi è un uomo libero, con una nuova identità. Elio Germano è ar­rivato a dire del suo Toso «ispira­to » a Maniero: «Non è il classico bandito rozzo e feroce ma una mente acuta, un uomo che si mo­stra gentile e raffinato. Il suo mo­dello è quello di un imprenditore più che di un malavitoso di stra­da ». Gentile, raffinato, dotato di spirito imprenditoriale. Un ritrat­to lontano dalla realtà, al punto che, messo davanti ai trailer, Ma­niero stesso non si è riconosciuto, come potete leggere in questa pa­gina.

Vallanzasca, portato sul grande schermo da Michele Placido, ha totalizzato quattro ergastoli e 290 anni di prigione per omicidi, rapi­ne, sequestri ed evasioni. Kim Ros­si Stuart ha interpretato (benissi­mo) il boss della Comasina e lo ha descritto con queste parole: «Val­lanzasca è dotato di una carica umana impensabile. Un uomo in­­telligente, lucido. Uno che ha capi­to, quando ancora non si usava, il ruolo determinante dei media». Lucido, intelligente, «esperto» di mass media. Lo score criminale della Banda della Magliana, poi, è quasi incalcolabile, tra omicidi e oscuri legami con i fatti sanguino­si più gravi del dopoguerra. Gra­zie a Romanzo criminale è diventa­ta un fenomeno di costume e la gente va in giro con le magliette dei gangster.

Lasciando agli artisti l’assoluta libertà che compete loro, non si può negare che i vari romanzi cri­minali rendano «affascinanti» e «di tendenza» le peggiori canaglie della recente storia d’Italia.Gente che ha ucciso innocenti e persone perbene, a stento ricordate nelle pellicole. L’intento di questi film non è apologetico, ci manchereb­be. Ma il risultato è troppo ambi­guo. Un po’ di buonsenso da parte dei produttori non guasterebbe.

Ancora un passo e poi ci faranno vedere le accattivanti imprese di quei cazzari dei mafiosi siciliani al­le­prese con uno Stato tutto da ride­re: un’esplosione di fascino sudi­sta, come a Capaci.E la ’ndranghe­ta? Non è forse uno sballo quella storia dei rapimenti in Aspromon­t­e con i quali mettere insieme capi­tali da investire in armi e droga?

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