«Fermate le macchine» vogliamo uscire dal progresso che umilia l'essere umano

Cablati, connessi e alla fine sottomessi? Possiamo ancora salvarci

Luca Gallesi

A i dogmi religiosi, in molti casi ignorati quando non derisi, sono subentrati altri dogmi, ben più intransigenti, che alla teologia hanno sostituito la tecnologia, nuova divinità.

Non esiste più un singolo aspetto della vita quotidiana che non sia afflitto dall'ingombrante presenza della tecnologia wireless: le nostre abitazioni sono cablate dalla fibra ottica, le amicizie profilate sui social, il lavoro è virtuale come il sesso, e, grazie alla dimenticabile ex-ministra dell'Università, persino la scuola italiana è diventata un'ambita e indifesa preda delle grandi compagnie che forniscono attrezzature informatiche e connessioni alla Rete. A tale preoccupante involuzione del genere umano è dedicato l'ultimo libro di Francesco Borgonovo, Fermate le macchine! (Sperling e Kupfer, pagg. 265, euro 17,50), con prefazione di Mario Giordano e dal sottotitolo illuminante: Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l'anima.

Il saggio di Borgonovo si legge come un romanzo horror. Fa impressione calarsi nel mondo del lavoro automatizzato, dove sono gli umani a obbedire a robot che scandiscono modi e tempi della produzione e dove la tecnologia ha reso il mondo orwelliano descritto in 1984 una pallida imitazione di quello reale, dove tutte le nostre vite sono monitorate, scandagliate e trasformate in dati utilizzabili dai colossi della Silicon Valley, senza che si levino efficaci obiezioni all'inesorabile trasformazione delle persone in consumatori.

Immersi come siamo nella narrazione di un meraviglioso mondo senza confini, più bello, colorato e simpatico, dove, con un semplice tocco sulla tastiera, siamo trasportati ovunque o collegati con chiunque, sempre che restiamo perennemente connessi, la lettura di Fermate le macchine! fa l'effetto di una doccia gelata. Intendiamoci: Borgonovo non è un luddista, non auspica la distruzione delle macchine né il ritorno a una civiltà pre-moderna, dove la legna sostituisca il petrolio e i cavalli le automobili, ma ci mette in guardia dal dilagare di un ottimismo ingiustificato e pericoloso nei confronti delle cosiddette «nuove tecnologie». Quasi un secolo fa, Bernanos denunciava il totalitarismo della società tecnologica causato dal «desiderio segreto e inconfessabile di degradazione e di rinuncia» che caratterizza il nostro autodistruttivo entusiasmo verso il mondo dei robot. Oggi siamo diventati tutti vittime inermi del Moloch tecnologico. In nome della «comodità» rinunciamo a tutto quello che dà veramente sapore alla vita: al piacere di preparare e consumare il cibo con i propri cari; alla fatica di cercare e leggere un libro affidandoci al caso, e non a un algoritmo che sceglie secondo i nostri gusti; al fascino di un incontro imprevisto, rifiutando di diventare come i protagonisti di un episodio di Black Mirror, che si frequentano solo dopo il benestare di una app.

Facile a dirsi, ma sempre più difficile a farsi, dato che il dominio delle connessioni a banda larga sembra incontrastabile, e chiunque osa metterlo in dubbio è immediatamente tacciato di ignoranza o, peggio, oscurantismo. Siamo dunque condannati senza speranza alla schiavitù tecnologica?

Forse no, se, come ricorda Borgonovo nella conclusione

del suo saggio, la natura umana viene incoraggiata a reagire, e cominciamo a mettere dei limiti all'utilizzo dei computer e smartphone, spegnendo quell'ingenuo e incosciente entusiasmo che ne ha incoraggiato il dilagare.

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