Cultura e Spettacoli

Festa rock da Clapton a Beck. Riecco Ozzy il sopravvissuto

La voce più esagerata degli anni '70 ha un disco nuovo. Con tanti ospiti. E una certezza: "Pensavo di morire prima"

Festa rock da Clapton a Beck. Riecco Ozzy il sopravvissuto

Manco lui ci credeva: «Non avrei mai pensato di arrivare fin qui». E invece a 73 anni molto suonati (e stonati) Ozzy Osbourne, ossia il più grande superstite del rock quando il rock non faceva prigionieri, ha già impacchettato un altro album con un titolo che vale il quadro clinico: Patient number 9. Il paziente numero 9 è proprio lui, John Michael Osbourne detto Ozzy, nato a Birmingham il 3 dicembre 1948, cantante dalla voce acuta e inimitabile e rockstar così esagerata da essersi ritrovato con un manipolo di scienziati che gli hanno studiato il genoma per capire come fosse riuscito a sopravvivere a tanti abusi (i risultati sono su Scientificamerican.com e c'è da stupirsi: «Ozzy ha diverse centinaia di varianti che non sono mai state viste dagli scienziati», hanno spiegato).

Oggi Ozzy Osbourne, che ha venduto 150 milioni di album in tutto il mondo, è appena uscito dalla sala operatoria per un intervento alla colonna vertebrale, sconta le pene del Parkinson, rinvia un tour dopo l'altro ma tutto sommato sta come un pascià visti i precedenti da rockstar che si vantava di sniffare pure le formiche. «Una volta nel 1972 in una villa di Bel Air il sole splendeva, avevo la coca a portata di mano, avevo l'alcool mi sono detto Accidenti a me, ce l'ho davvero fatta!. Ho notato dei pulsanti su una parete e ho pensato Ah, deve essere il pulsante per il condizionatore. Era quello dell'allarme. A quel punto io e il tecnico del suono abbiamo preso quell'enorme ciotola piena di cocaina e l'erba e siamo andati in bagno. Io però mi sono detto: Non posso buttare via tutto questo». Così ha provato a sniffare quanta più cocaina possibile ma poi «mi usciva persino dalle orecchie e dopo non ho dormito per quattro giorni».

Insomma, è un sopravvissuto dopo un'adolescenza criminale (rubò un televisore così pesante che gli cadde addosso bloccandolo: sei settimane dietro le sbarre della Winston Green Prison di Birmingham ), una gioventù pazzesca con uno dei gruppi più importanti di sempre, ossia i Black Sabbath, nel periodo più sregolato della storia della musica, ossia i Settanta: «Mi continuano a chiedere di questo o quello nel '74 o nel '77 e io non so rispondere ma non lo faccio per snobismo: semplicemente non ricordo quasi nulla di quel decennio». Buttato fuori dai Black Sabbath, fu recuperato da Sharon Arden, figlia del loro manager Don, in un albergo di Los Angeles dove si era rinchiuso con questo lucido pensiero: «Mi bevo gli ultimi soldi e poi, se sopravvivo, apro un bar a Birmingham».

È andata diversamente. Con Sharon il 4 luglio ha festeggiato quarant'anni di matrimonio (le foto delle nozze a Maui, Hawaii, sono il trionfo del kitsch) e ora sono una delle coppie più longeve del rock: «Se non fosse stato per lei, non sarei vivo. Mi ha sostenuto quando ne avevo bisogno. Mi ha urlato contro quando serviva».

E lui, album dopo album, tour dopo tour, apparizione tv dopo apparizione tv (memorabile The Osbournes su Mtv) si è trasformato nell'icona di un tempo passato che tuttora catalizza l'attenzione: quasi 5 milioni di follower su Instagram, più di 5 su Twitter, due milioni di iscritti al canale YouTube e share molto alti tutte le volte che si mostra in tv. Forse per questo adesso Ozzy Osbourne ha deciso di fare la ruota da pavone, il disco definitivo, quello che conferma il suo ruolo di padre del rock. Patient number 9 ha una quantità di collaborazioni che non sono semplici feat. perché gli ospiti non cantano ma suonano, cosa sempre più rara. La chitarra cupa e potentissima di Degradation rules è di Tony Iommi dei Black Sabbath, che ha inventato un suono ripreso dal grunge e copiato pure oggi da chi potrebbe essere suo nipote. Nel brano Patient number 9 c'è Jeff Beck, che adesso è in tour con Johnny Depp e qui suona due assoli così virtuosi da sembrare persino finti. E in One of Those Days c'è Eric Clapton: «Pensavo mi odiasse ma poi ci siamo ritrovati a una seduta degli alcolisti anonimi e ho capito di no».

Ma soprattutto in tutti i tredici brani c'è la voce carica di malinconia e buio di questo sopravvissuto che all'inizio era felice perché c'erano «feste ogni sera, donne, vino e rockn'roll» e oggi è felice perché è riuscito a venirne fuori vivo.

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