Il film anti-Brianza di Virzì fuori dagli Oscar

Premiato dalla critica italiana per i suoi luoghi comuni contro la borghesia. Ma stroncato dall'Academy

Il film anti-Brianza di Virzì fuori dagli Oscar

L'Italia è già fuori dalla corsa per gli Oscar 2015. Il capitale umano di Paolo Virzì, accolto da unanime coro di elogi in Italia, non ha superato neppure la prima scrematura dell'Academy. Non entra quindi tra i nove titoli da cui uscirà la cinquina di finalisti nella categoria miglior pellicola straniera. L'anno scorso vinse La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Il bis ce lo possiamo scordare. Eppure, secondo i critici italiani, Il capitale umano era un capolavoro: ha vinto sette David di Donatello (miglior film, meglio dunque de La grande bellezza ) e sei Nastri d'argento. Sceneggiata con Francesco Bruni e Francesco Piccolo, la pellicola è tratta dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, ambientato in Connecticut. Virzì ha scelto di spostare la vicenda nella provincia italiana, la Brianza in particolare, per raccontare le storie di un immobiliarista fallito e di uno speculatore finanziario. Una tirata contro l'avida borghesia disposta a dare un prezzo a tutto, anche alla vita altrui. Un punto di vista sull'Italia preconfezionato e soprattutto lunare, poiché la cronaca ci parla di una borghesia del Nord soffocata dalla crisi senza poter contare sull'aiuto dello Stato e del sistema bancario. Ma perché la Brianza? Virzì spiegò a Repubblica : «Cercavo una atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso». Ostile? E ancora. Il set è stato fissato a Osnago, Varese e Como, «città ricchissima che esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina». Il Politeama «ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro». (Sì, Como non è in Brianza, ed è la città del Teatro Sociale, in piena attività, ma sono dettagli a cui i registi non badano). Quel che contava, secondo Virzì, era mettere in luce come «gli italiani abbiano pochissimo senso civico» e come «la nostra borghesia sia molto egoista e carente verso i bisogni degli altri». Gran finale: «Siamo un Paese plasmato dal berlusconismo, dagli ostentatori che rendono volgare la ricchezza e lo spreco, che fa dei truffatori e degli evasori dei martiri e degli eroi». Gli statunitensi non hanno gradito la predica, i critici italiani invece si sono prostrati davanti ai luoghi comuni.

Tra i titoli ancora in gara ci sono Ida del polacco Pawel Pawlikowski, Storie pazzesche dell'argentino Damián Szifron, Leviathan del russo Andrey Zvyagintsev, lo svedese Force majeure di Ruben Östlund.

Dall'Estonia arriva Tangerines di Zaza Urushadze, dalla Georgia Corn Island di George Ovashvili, dalla Mauritania Timbuktu di Abderrahmane Sissako, dall'Olanda Accused di Paula van der Oest e dal Venezuela The Liberator di Alberto Arvelo.

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