Il film del weekend: "Django Unchained"

Tarantino torna con un'opera stravagante, scandalosa e divertente; un patchwork citazionista dalla sontuosa messa in scena che denuncia gli orrori della pagina più razzista della storia americana

Una scena del film "Django Unchained"
Una scena del film "Django Unchained"

Quentin Tarantino torna con un'opera stravagante, scandalosa e divertente. Un patchwork citazionista dalla sontuosa messa in scena che denuncia gli orrori della pagina più razzista della storia americana. "Django Unchained" è sia un omaggio ad un preciso cinema del passato sia una denuncia delle mostruosità che accompagnarono la mercificazione dell'essere umano un secolo e mezzo fa in America.

Stati Uniti del Sud, alla vigilia della guerra civile. Un ex dentista tedesco divenuto cacciatore di taglie, il dottor King Schultz (Christoph Waltz), è alla ricerca dei fratelli Brittle per consegnarli, vivi o morti, alle autorità e incassare la ricompensa. A questo scopo recluta lo schiavo Django (Jamie Foxx) come collaboratore, promettendogli la libertà e di aiutarlo a ritrovare la moglie Broomhilda (Kerry Washington), schiava in una piantagione del Mississipi di proprietà del sanguinario Calvin Candie (Leonardo DiCaprio).

Il tema storico trattato ha una criticità intrinseca ben affrontata da un cast all'altezza: Di Caprio nei panni del carismatico villan, Samuel L. Jackson che tocca il parossismo della cattiveria, Christoph Waltz argutamente spassoso e un Jamie Foxx dal fascino composto e dalle poche epiche parole. Se per cinema si intende avvincente intrattenimento confezionato in maniera stilisticamente perfetta, siamo ai vertici. Il nuovo film di Tarantino è uno spettacolo maestoso e divertente condito di una violenza rappresentata parodisticamente, irrisa perché eccessiva. Il binomio di ironia e sangue caratteristico delle pellicole di questo autore, porta con sé un cinismo grottesco che tiene in ostaggio lo spettatore tra farsa e realtà, tra crudeltà e leggero umorismo; è il tratto distintivo di un inconfondibile stile che ama sopra ogni cosa ridicolizzare la disumanità.

Stavolta però il regista è stato di un coraggio spregiudicato: non c'è nulla di più ardito, in quanto a rischio irriverenza, che unire la giocosità che caratterizza il suo cinema a quello che è stato il più grande e controverso capitolo di storia americana. Eppure il risultato è centrato; per una volta la violenza tipica dei suoi film trova giustificazione nel tentativo alto e nobile di rappresentare gli orrori della schiavitù dei neri d'America. "Django Unchained" è surreale quando vuole divertire, ma anche realistico quando si fa opera di denuncia.

Questa pellicola è un esercizio di stile a volte un po' prolisso che esibisce la ferocia come fosse un gioco, creando un effetto straniante da saper interpretare alla luce degli stilemi della filmografia del genio tarantiniano. E' un mirabile patchwork citazionista che non disdegna accostamenti culturali a dir poco originali; un film curato magistralmente sotto ogni aspetto che saprà catturare il cinefilo come lo spettatore occasionale.

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