«Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?». È una domanda che molti di noi farebbero, per gioco, e molti altri no, magari quelli ossessionati dalla privacy, quelli convinti di essere spiati e che magari avrebbero paura di vedersi arrivare la Cia a casa.
A porre questa domanda al suo gruppo di amici è invece Eva Lindquist, ricca signora moglie di un finanziere, al termine delle ultime elezioni americane. È la protagonista del nuovo romanzo di David Leavitt, Il decoro, edito da SEM, e è una donna che potremmo aggiungere (almeno negli intenti dell'autore) alla lunga lista di personaggi femminili vivisezionati dagli scrittori, da Madame Bovary a Anna Karenina a Isabel Archer. Non è un romanzo a tesi, beninisteso, e non prende una posizione politica netta, come è meglio che sia, e tuttavia, nei molti personaggi che orbitano intorno ai Lindquist (una segretaria malata, un cuoco omosessuale, un vicino di casa repubblicano che festeggia per Trump, un famoso arredatore, e molti altri) potremmo vedervi un grande affresco del declino dei radical chic, con Eva che è una delle ultime rimaste. Non ha più ideali, ma deve fingere di averne per sentirsi viva. In fondo Eva è una borghese ricca e viziata, sufficientemente disgustata dalla vittoria di Donald Trump da volersene andare dagli Stati uniti, e quale posto migliore che scegliersi un appartamento di lusso in Italia, a Venezia? Se bisogna fare un gesto di ribellione, tanto vale farlo nel lusso. (In Italia abbiamo spesso sentito noti personaggi, altrettanto agiati, come Umberto Eco per esempio, dire che se vinceva Berlusconi se ne sarebbero andati, ma poi nessuno se ne è mai andato). Tanto Bruce, il marito che lavora, le permette tutto: «Lei si occupa di volere, io di pagare. È sempre stato così fra noi, e se devo essere onesto, finora è andato benissimo a me come a lei. O forse più ancora a me, perché mi ha risparmiato il peso di volere le cose».
È difficile trovare un perno fisso intorno a cui gira tutto il romanzo, alquanto polifonico (in senso dostoeveskijano), che mette a fuoco di volta in volta i problemi personali di ogni personaggio con uno sguardo neutro. Ma di sicuro Eva rappresenta una sorta di vuoto, un ideale che va avanti per inerzia e che spesso nasconde una profonda insensibilità (non verso la gentilezza del vicino trumpiano che ingenuamente la invita al party, ma verso le difficoltà dei suoi amici).
Gli altri personaggi sono in fondo alquanto impermeabili alla situazione politica generale, sono persi nelle loro vite, chi nelle sue relazioni omosessuali, chi nella chemioterapia, chi nelle sue frustrazioni professionali, ma Eva è indifferente a tutto questo, deve pensare a come mantenere il decoro della propria vita (con un certo bigottismo anche, è una liberal ma non si deve parlare di sesso al suo cospetto), alla sua casa a Venezia dove andare e dentro la quale sentirsi con la coscienza pulita (come se a Trump poi importasse qualcosa di dove va lei).
Non so se chi legge è un lettore di David Leavitt, se avevate vent'anni alla fine degli anni Ottanta era una lettura imprescindibile e soprattutto di moda, nel senso buono. Non soltanto perché Leavitt apparteneva a quella talentuosa pattuglia di autori chiamati post-minimalisti (i nipotini di Raymond Carver, per intenderci, e oltre a Leavitt spiccavano Breat Easton Ellis, Jay McInerney e molti altri) ma anche perché c'era l'AIDS, la comunità gay viveva uno dei suoi momenti più tragici, e c'era un grande bisogno di affermazione e di mostrare l'uguaglianza di ogni amore (uno dei suoi libri si intitolava appunto Eguali amori). Leavitt dette il suo contributo fondamentale con molti romanzi diventati libri di culto per quella generazione, quasi un manifesto. Leavitt, a differenza di Ellis o Jay McInerney, è stato quello più autenticamente carveriano: non ha mai messo in scena un serial killer come Patrick Bateman, né giovani sballati e drogati, ma le piccole ansie, le piccole gioie, le normali vite di persone normali, omosessuali ma uguali a qualsiasi altra.
Ovviamente sono passati decenni, ma anche qui Leavitt resta fedele al suo metodo: nessun personaggio fuori di testa, grandi ideali (uccidiamo Donald Trump?) ma poi calma piatta, minimi gesti che per nulla pesano nella collettività, solo a far star meglio se stessi, e spesso fallendo anche in questo. Chi è dunque Eva Lindquist? Una ricca radical chic annoiata, ossia una Madame Bovary minimalista.
A proposito: alla fine ho provato a chiedere a Siri come assassinare Donald Trump, la risposta è stata: «Bella domanda, ma purtroppo non sono in grado di risponderti». Sì, ha risposto proprio bella domanda, vale a dire che c'è un'Eva Lindquist anche in Siri, che non per altro è l'intelligenza artificiale di uno smartphone di lusso.
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