nostro inviato a Venezia
Il fanatismo religioso genera l'inferno. Sebbene il titolo del film in questione sia Paradise - Faith, secondo episodio della trilogia di Ulrich Seidl, è questo l'assunto della pellicola finora più scandalosa della 69ª Mostra del cinema. Signor regista, lei ha scelto una storia estrema per parlare della fede: pensa che la fanatica protagonista del suo film rappresentati il cristianesimo oggi? «No, non lo credo. Forse il mio film va oltre la realtà. Non credo che questa storia possa essere rappresentativa della fede di oggi». Però, per scandalizzare, cosa alla quale il regista austriaco è abituato, va benissimo. Oppure va bene per denunciare i fondamentalismi, come si è prefissa la Mostra fin dal primo giorno, quando è toccato all'Islam e al «fondamentalismo dell'Occidente», parola del direttore artistico Barbera. Ieri, invece, è stata la volta del cristianesimo. O meglio, alla sua perversione oscurantista. Oggi sarà il turno delle sette americane narrate dall'attesissimo The Master. Tra qualche giorno, invece, arriverà Bella addormentata di Bellocchio. E c'è da aspettarsi che la dose di contestazione nei confronti di chi difende il rispetto della vita sarà rincarata. Il tutto col rischio di fare di ogni erba un fascio, mettendo sullo stesso piano fondamentalismo islamico e della grande finanza, paranoie delle sette e cristianesimo.
Ieri, dunque, il fanatismo di giornata ha visto per protagonista Anna Maria (Maria Hofstätter), una ultrà cattolica austriaca che si flagella quotidianamente davanti a un grande crocifisso per espiare i peccati del mondo e le sue stesse tentazioni sessuali. Si infligge la pena del cilicio, intona canti devozionali, eleva preghiere attraversando inginocchiata le stanze della sua casa, pulita e lucidata in modo maniacale, piena di cristi e immagini religiose, in cucina il ritratto di Papa Ratzinger. Anna Maria lavora in uno studio di radiologia, ma impegna le ferie per bussare alla porta degli immigrati munita di una statua della Madonna, invitandoli alla preghiera e alla conversione che per lei è sinonimo di non fornicare. Prevedibilmente la sua opera di apostolato viene accolta con diffidenza, quando non bruscamente respinta. Ma la contraddizione più lancinante esplode quando, improvvisamente il marito musulmano e paraplegico (Nabil Saleh) rispunta dal nulla per rivendicare i propri diritti, anche sessuali. Ma in preda alle ossessioni moralistiche, la donna rifiuta di corrispondere alle sue richieste. Così la convivenza si tramuta in una lotta tra corpi che si avvinghiano e icone, compreso il quadro del Papa, che vengono divelte dalle pareti. E mentre l'uomo è costretto a trascinarsi sul pavimento, Anna Maria si chiude nella sua stanza per rivolgersi al suo vero amore, staccare il crocifisso, baciarlo e manipolarlo tra le gambe sotto le coperte.
«Potrà esserci chi resterà scioccato», acconsente bontà sua Seidl, che in questo episodio della sua trilogia paradisiaca inscena un inferno domestico. «Sì, la vita quotidiana della mia protagonista si trasforma in un inferno anche se lei cerca il paradiso. Ognuno ha il proprio kit per tentare di raggiungerlo. Quella donna vive un grande conflitto tra l'amore per Gesù e l'amore che rivendica suo marito, disabile e musulmano. Io volevo raccontare questo conflitto».
L'anno scorso ne Il Villaggio di cartone di Ermanno Olmi, venerato maestro in odore di resipiscenze anticlericali, il crocifisso veniva deposto alla prima scena per, secondo lui, consentire a una vecchia chiesa di trasformarsi in comunità di accoglienza d'immigrati. Quest'anno, in Paradise - Faith, un film che pochi vedranno nei cinema, un altro crocifisso diventa strumento di masturbazione in mano a una bigotta austriaca.
Ma chissà perché qualcosa ci dice che non accadrà...
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