"Glass" di M. Night Shyamalan, tanto atteso quanto deludente

Il finale della trilogia iniziata vent'anni fa riunisce volti celebri ma disattende le intriganti premesse: la trama naufraga tra dialoghi verbosi e scene d'azione da B-movie.

"Glass" di M. Night Shyamalan, tanto atteso quanto deludente

"Glass", il nuovo film di M. Night Shyamalan, è il seguito di due pellicole dello stesso regista tra loro molto distanti nel tempo, "Umbreakable" (2000) e "Split" (2016).
Il crossover tra le due trame diventa il finale di una trilogia che fino a tre anni fa non esisteva neppure nella mente del suo autore.
Ritroviamo il protagonista di "Split", Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), ancora a piede libero assieme alle sue 23 sub-personalità e David Dunn (Bruce Willis), Sorvegliante e già al centro di "Umbreakable", che gli sta alle calcagna. Quando i due si trovano finalmente a duellare, lo scontro è interrotto dall'intervento delle autorità che li rinchiude entrambi in un ospedale psichiatrico in cui alloggia da molti anni Mr. Glass (Samuel L.Jackson), vecchio antagonista di Dunn. Nei giorni seguenti sarà premura della dottoressa Staple (Sarah Paulson) convincere i tre pazienti di essere persone comuni che hanno fatto l'errore di ritenere poteri superiori quelli che secondo la scienza sono invece solo dei deliri psicotici.
Nonostante l'incipit convincente, "Glass" deraglia in un'esperienza scialba.
Shyamalan tenta di creare un universo cinematografico condiviso, un po' sul genere di quelli Marvel e DC, attraverso la reunion di personaggi iconici della sua filmografia. Willis, McAvoy e Jackson incarnano tre diverse declinazioni di fascino ma non possono salvare da soli un'opera il cui principale problema è a livello narrativo. "Glass" presenta poca coesione, procedendo in maniera tortuosa e talvolta confusionaria. Per orientarsi è necessario avere ben più di un flebile ricordo delle pellicole cui fa da sequel e di cui riunisce temi e protagonisti. L'eccessiva macchinosità, l'assenza di ritmo e di tensione, le scene d'azione sciatte e i dialoghi tediosi danno luogo a un insieme che non conosce mordente né genera emozioni.
Sarah Paulson, poi, è l'anello debole del cast: non si capisce se la totale inespressività del suo volto sia una scelta interpretativa, derivi da un eccesso di trucco o altro.
A salvarsi è la regia tecnica, dotata di movimenti di macchina raffinati che regalano alcuni punti di vista insoliti.
"Glass" mette insieme in maniera pasticciata sfumature da thriller psicologico, citazioni dal mondo dei fumetti e una riflessione sui supereroi, per poi far confluire tutto in una serie di twist finali, marchio di fabbrica del regista.

Gli epiloghi, però, sono così numerosi da sfiorare l'autoparodia.
Forse penalizzato da un esordio di grandissimo successo come "Il Sesto Senso", Shyamalan pare essersi smarrito: continua a proporre qualcosa la cui carica pioneristica e innovativa è esaurita da troppo tempo.

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