Grandi hotel, grandi firme. Un viaggio nella nostalgia

Prima del turismo di massa c'era quello d'élite. Ma le star della cultura facevano già tendenza. Il saggio "La moda in vacanza"

Grandi hotel, grandi firme. Un viaggio nella nostalgia

Adesso che il viaggiare è divenuto complicato, per non dire impossibile, i libri di viaggio e/o sul viaggio producono un effetto stupefacente, nel senso di una droga che da un lato acuisce i sensi e dall'altro lascia spossati: era davvero così, ci diciamo eccitati, siamo stati anche noi lì, è dopo che è cambiato tutto, è adesso che nulla sarà come prima... Mai come da quando il turismo è diventato di massa, i «non luoghi, aeroporti, centri commerciali, new towns residenziali eccetera, hanno sostituito la «diversità» che li aveva preceduti, e i low cost sono divenuti un imperativo lì dove un tempo la «prima classe» era il segno di riconoscimento, si assiste al curioso tentativo di negare la democratizzazione, ovvero l'omogeneizzazione del viaggiare, rivestendola di una patina individuale. Viaggiamo tutti, ma solo io viaggio in modo diverso, il modo giusto, naturalmente... Non è un caso che una delle guide più diffuse già nel nome rimandi al viaggiare da soli, una lonely venduta in milioni di esemplari...

Dicono gli esperti della materia che il turismo di massa è cominciato negli anni Cinquanta del secolo scorso: prima il turismo era stato di moda, qualcosa di simile, ma completamente differente nel suo interessare soltanto alcune classi sociali, borghesia medio-alta, aristocrazia, legate fra loro da vincoli identitari, più o meno le stesse scuole, la medesima educazione, le identiche frequentazioni, e intorno alle quali veleggiava una fauna anch'essa più o meno variopinta, la cosiddetta bohème artistico-intellettuale che, pur provenendo in linea di massima da quel medesimo ambiente, lo coloriva di una tinta trasgressiva, un po' scandalosa, un po' irriverente, sul tipo di ciò che erano stati i buffoni di corte al tempo delle monarchie assolute.

Il passaggio dalla moda alla massa si può cogliere ancora meglio se lo si vede dalla seguente, duplice angolazione. Da un lato, i libri che danno conto del mutamento lo possono fare solo in termini quantitativi: il numero di turisti, la grandezza degli alberghi o delle navi da crociera, il moltiplicarsi delle linee aeree a basso costo, il moltiplicarsi delle offerte di benessere per il potenziale fruitore, dall'idromassaggio in camera alla palestra, il gigantismo della ristorazione interna, cucina etnica, cucina internazionale, cucina nazionale, cucina a tema eccetera, restando però sempre e comunque nello stesso albergo... E, va da sé, nessuno di questi nuovi templi del superlusso avrà uno scrittore contemporaneo a disposizione per celebrarli, quasi che il binomio grand-hôtel-letteratura possa essere coniugato soltanto al passato.

Dall'altra angolazione, basta che il moderno viaggiatore di massa capiti per caso, o per scelta, in uno degli alberghi famosi al tempo in cui il turismo era una moda, e rimasti come allora, non stravolti cioè da un restyling che ne abbia alterato irrimediabilmente la fisionomia. Resterà stupito dalle ridotte dimensioni, dalla singolare spartanità del suo lusso, dal contrasto venutosi a creare con ciò che ormai lo circonda, meglio ancora, lo minaccia. Basta essere stati al Manila Hôtel dell'omonima capitale delle Filippine, al Continental di Saigon, oggi Ho-Chi-Minh City, al Peninsula di Hong Kong, per rendersene conto, tre superbi relitti e insieme tre case di bambole assediate dalla modernità.

Queste riflessioni si sono venute formando nel leggere La moda della vacanza (Einaudi, pagg. 353, euro 34), di Alessandro Martini e Maurizio Francesconi, che ha per sottotitolo «Luoghi e storie: 1860-1939». In sostanza, si tratta di una lunga cavalcata attraverso l'architettura e la moda: ci sono gli abiti e ci sono le spiagge, gli sport e le escursioni alpine, le terme, gli alberghi e i ristoranti, i casinò e i treni internazionali, i transatlantici e le prime linee aeree. E poi, e naturalmente, ci sono gli aristocratici, teste coronate comprese, e i grandi tycoons della finanza, i membri dell'alta società e i dandies, gli avventurieri, i giocatori d'azzardo e le spie, i grandi sarti non ancora ribattezzati stilisti e le indossatrici non ancora trasformate in top model, le ville private e le feste private, le grandi capitali... Come osservano gli autori, «è l'età d'oro del turismo, durante la quale le élite - prima l'aristocrazia, poi l'alta borghesia - costruiscono canoni di gusto, dinamiche di relazione, strutture funzionali a soddisfare aspettative del tutto nuove, nel rispetto di standard adeguati».

Rispetto agli altri libri che hanno il viaggiare come loro ubi consistam, La moda della vacanza riserva una particolare attenzione all'architettura, i nomi più importanti, i modelli di riferimento, la scelta dei materiali, il superamento delle difficoltà tecniche, che ne fa una miniera d'oro per gli appassionati della materia. Si vedrà come molto spesso i progettisti siano gli stessi su e giù per l'Europa e non solo, a testimonianza di un gusto modellato su quello che è un sentimento comune, dove una certa grandeur francese incrocia il cuoio e il country-style inglese nel nome di una linearità, quanto a purezza estetica, italiana. Come scrivono Martini&Francesconi, «nelle nascenti località balneari, tutto è al servizio di una medesima committenza, che le ha promosse e al cui svago sono destinate. Soltanto così può scattare il meccanismo del riconoscimento e della condivisione. Soltanto così nascono le mode».

Tutto ciò ha naturalmente anche degli effetti stranianti. Si prenda la passione per l'Egitto, una riscoperta dell'età napoleonica che al giro di secolo fra XIX e XX porta l'orientalismo fatto in casa al suo massimo grado e, di converso, l'idea, come suggerito dallo slogan di un'agenzia di viaggio del tempo, di un «Egitto senza egiziani»...

L'altro elemento sottolineato dagli autori, e ripreso da una celebre frase di Evelyn Waugh, è la prima metà del Novecento vista come un'epoca in cui «si viaggiava perché ci veniva naturale farlo». Per i giovani che in quegli anni Trenta si trovano ad avere intorno ai vent'anni, il viaggiare non ha più nulla a che fare né con il Grand-Tour educativo del Sette-Ottocento, né con la coeva passione scientifico-esplorativa: è senza motivo, non ha secondi scopi o secondi fini, è, per dirla ancora con Waugh, semplicemente «un piacere»... Quanto se ne sia consapevoli, quanto venga dato per scontato, è difficile dire e sta alla sensibilità dei singoli viaggiatori, in quanto scrittori-viaggiatori. Sebbene tutti e due tipicamente britannici, è impossibile trovare viaggiatori più diversi fra loro del già citato Waugh e di Peter Fleming, uno per il quale l'«altrove» è veramente tale, qualcosa di vissuto e non di intravisto da lontano... Se si vuole, il luogo dove entrambi possono idealmente convivere è il Raffles Hôtel che a Singapore unisce lo stile Rinascimento franco-italiano dei suoi piani rialzati a quello anglo-indiano dei portici e della Palm Court. Al Raffles saranno di casa Somerset Maugham e Conrad, anche qui due inglesi antitetici, e le sue suites porteranno anche i nomi di Malraux, Herman Hesse, Noël Coward... Ernst Jünger, che vi soggiornò negli anni Cinquanta, trovò un ritratto di Conrad avente come firma autografa «Lord Jim», testimonianza, scrisse, di come «ogni autore, Conrad compreso, nasconde dentro di sé il fondo oscuro che descrive»...

La fine della «moda della vacanza» comincia quando la nascita dei voli transcontinentali senza scalo del secondo dopoguerra segna la fine dei grandi transatlantici e di alcune linee storiche ferroviarie, come quella dell'Orient-Express.

A questa rivoluzione geografica si accompagna quanto accennato all'inizio, ovvero il venir meno di un gruppo sociale ben distinto e la sua sostituzione con qualcosa di indistinto che ha però il numero come forza d'urto in grado di plasmare il nuovo che avanza. È un turismo di massa che fino all'altro ieri non ha conosciuto frontiere né limiti e che oggi si ritrova sotto scacco di una pandemia anch'essa senza confini. Quanto al domani, non si può fare altro che aspettare...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica