Cultura e Spettacoli

Grazie per i magnifici follower

Oggi la qualità è secondaria, serve la quantità. Se non ti "seguono", non vali

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Una volta c'erano le trasmissioni tv di qualità, duravano quel che duravano, perché facevano poca audience, oggi neppure ci provano più, casomai chiudono una trasmissione che fa schifo perché non la guarda nessuno sostituendola con un'altra che fa ancora più schifo ma che guardano di più. Stessa cosa per i libri: non è che in classifica di vendita ci siano mai andati Proust o Gadda neppure ai tempi di Proust o Gadda, ma oggi non ci si pone neppure il problema, perché tanto la critica non distingue più il bestseller commerciale dal capolavoro letterario, e dunque, anche per i libri vale lo stesso discorso: se vende, sarà bello.

Quest'idea che più qualcosa vende più è meritevole di essere vista o letta non è nuova, pur essendo totalmente anti-elitaria e massificante. In tutto si cerca di distinguersi, ma per quando riguarda il pensiero si fa di tutto per omologarsi. L'aveva già notato Alberto Arbasino (che non aveva social ma avrebbe avuto dieci follower, e di cui segnalo l'appena uscito Grazie per le magnifiche rose, Adelphi), negli anni '60: «Da noi si fanno con serietà le graduatorie fra i libri alla portata di tutti, che vanno lodati, e quelli biasimevoli perché di élite. Gente che mai oserebbe vantare una Jaguar o una Mercedes, elogia Moravia in quanto bestseller per la gente comune, rispetto a Gadda o Beckett che hanno la colpa di essere troppo difficili e dunque d'avere pochi clienti».

Ma tutta questa è roba passata. Oggi contano i follower. Il bello dei follower è che sei hai milioni di follower, e non te li sei comprati, devi essere bravo a esserteli fatti. Se critichi un tizio o una tizia con milioni di follower che non sai proprio per cosa sia bravo, sei uno che rosica, perché se ha tanti follower è già un risultato, e se tu hai meno follower significa che vali di meno.

Non conta più il contenuto, il contenuto sono i follower, i like, i cuoricini. Per cosa tu li abbia è irrilevante. Di esempi ce ne sono innumerevoli, ma prendiamo il più famoso: Chiara Ferragni. Non c'è discussione su Chiara Ferragni che non finisca sul fatto che ha milioni di follower. Eppure basti pensare che una certa signora divenuta celebre per aver detto «Non ce n'è Coviddi» ha aperto un account Instagram e si è ritrovata immediatamente duecentomila follower. Penso, di contro, al nostro più importante neuroscienziato, Giorgio Vallortigara, che su Twitter ha meno di due migliaia di follower, circa un milioni in meno di Selvaggia Lucarelli. Delle due l'una: o la Lucarelli è più intelligente di Vallortigara, o i follower non c'entrano niente con l'intelligenza, casomai c'entrano ma al contrario.

Insomma, quando Albert Einstein formulò la teoria della relatività avrebbe avuto un solo follower, credo, quell'Arthur Stanley Eddington che corse subito a verificarla. Ma forse oggi anche Einstein avrebbe milioni di follower, per via della foto dove fa la linguaccia.

In ogni caso non è facile avere molti follower, diventare un influencer, perché devi comunque avere leggermente più cervello di coloro che influenzi, ma non troppo, sennò non ti seguono.

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