Gli Stamper non sono gente simpatica. Sono testardi, duri, boriosi. Pure crumiri: a Wakonda, sulla costa dell'Oregon, i boscaioli sono in sciopero, ma gli Stamper continuano a rifornire di legname la Wakonda Pacific, la grande azienda che si vuole mangiare tutti i piccoli taglialegna locali (insieme alle macchine, che dimezzano i tempi di lavoro). Così, la Wakonda non patisce perdite, mentre gli Stamper lavorano e guadagnano il triplo del solito. A discapito dei concittadini, che non sono tanto contenti.
Si intuisce dalla casa, che famiglia sia, quella degli Stamper: la loro è l'unica costruzione di tutta la costa che non rispetti la distanza di sicurezza e di rispetto che esige il grande fiume, il Wakonda Auga, e che ne stia su una sponda, sfacciata, isolata, «maledetta». La stirpe è arrivata a Ovest dal Kansas, macerata dal desiderio di spostarsi, di conquistare; quando il capostipite ha mollato tutta la famiglia in quella casa sul fiume, il primogenito Henry si è caricato sulle sue spalle madre e fratelli, ha preso in mano l'attività e ha inchiodato una bella targa sopra il letto del primogenito, Hank: «Mai cedere di un millimetro!». Questi sono gli Stamper, figuriamoci se si preoccupano di un sindacato, o dei compaesani arrabbiati, o di una multinazionale, anche se ancora non si chiamano così, perché è solo l'inizio degli anni Sessanta. È in questa epoca che si svolge la loro storia, una storia che è un romanzo tragico e farsesco insieme, A volte una bella pensata, quello che il suo autore Ken Kesey (1935 - 2001) considerava il suo capolavoro, più di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che pure è molto più famoso, anche grazie a Jack Nicholson. A volte una bella pensata - titolo originale, da un blues, Sometimes a Great Notion, che suona subito come Nation, cioè l'America - uscì nel 1964, due anni dopo Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma in Italia non è mai stato tradotto, fino a oggi: ci ha pensato Sara Reggiani, fondatrice delle edizioni Black Coffee, che ha impiegato quasi un anno a compiere l'impresa (sono 842 pagine), e ora il romanzo arriva in libreria, per i vent'anni dalla morte di Kesey. Nella prefazione, Marco Rossari elimina ogni ambiguità su un punto fondamentale: «Boschi, natura, famiglia: messa così, sembra una saga da Midwest con quello stile secco ormai insopportabile... Invece no». Per due motivi. Primo, la scrittura è barocca, esagerata, complessa, scenografica: Kesey affianca più scene in una, come istantanee di momenti e luoghi diversi, affastella le voci, usa vocaboli ostici e frasi lunghe che avvolgono a spirale, nell'abisso di una storia che non può che finire male, che fin da subito puzza del marcio della casa maledetta. Secondo, perché A volte una bella pensata è una saga ma è, allo stesso tempo, uno spernacchiamento di una saga, è un'epopea ed è la sua presa in giro, la cartina di tornasole di ogni fallimento, il fiume delle anime inquiete che scorre inarrestabile come il Wakonda Auga, dove Jonas Stamper, il capostipite, illuso e senza attributi, si era lasciato convincere dai depliant che «un uomo poteva lasciare il segno», e invece no, lì soltanto la Natura può lasciare i suoi segni, Signora assoluta e indomabile, nonostante tutti gli sforzi umani.
Eccetto quelli di suo nipote, Hank. Uno spaccone, uno che al cinema, qualche anno dopo, nel 1971, non può che avere il volto di Paul Newman, anche regista del film - in italiano Sfida senza paura - che riceve due nomination agli Oscar ma non ha certo il successo della pellicola con Jack Nicholson, nonostante nel cast ci sia anche Henry Fonda. È Hank che, con il vecchio padre Henry bloccato da un incidente, decide di non accodarsi al sindacato e di mettere tutti i suoi famigliari a lavorare duro - tutti, incluso quel fratellino, Leland, figlio della seconda moglie di Henry, Myra, una newyorchese finita chissà come in quel buco nei boschi dell'Oregon, poi tornata sulla costa Est con il piccolo Lee per farlo studiare. Lee è ormai all'università quando, proprio nel bel mezzo di un tentativo di suicidio andato a male, riceve un telegramma dagli Stamper, con la richiesta delle sue braccia, per aiutare nell'impresa di famiglia. E allora, con il passato che lo riagguanta alle spalle, Lee sale su un bus per l'Oregon e percorre tutti gli Stati Uniti, lo stesso tragitto, ma all'inverso, che fa Ken Kesey nel '64 per presentare il romanzo a New York, a bordo del leggendario «Furthur», il bus celebrato da Tom Wolfe in Electric Kool-Aid Acid Test, con Neal Cassady come autista e tanta Lsd come carburante. Ma il viaggio di Lee non è pieno di peace and love: arriva a Wakonda stracolmo di odio e di voglia di vendetta nei confronti dell'ingombrante fratellastro Hank, e cercherà la sua rivincita nella delicata moglie di lui, la bella Viv...
A volte una bella pensata non è la solita saga del Midwest ma è un concentrato di America: l'individualismo e la Patria, la natura selvaggia e il progresso, la dedizione e la ribellione, la poesia e il duro lavoro, l'amore e l'odio, la famiglia e la collettività, il mito della frontiera e il fallimento, fino all'apice, alla sfida finale tra i
due fratelli, che è una battaglia tutta interiore, quella che lacera i personaggi e, prima ancora, l'uomo Kesey e non soltanto lui: «Da che parte stai? / In questa guerra per la vita e la libertà, / tu da che parte stai?».
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