"Ho dato una voce alle ragazzine trasformate in schiave"

La nigeriana Abi Daré racconta la storia di Adunni, tolta da scuola e costretta a lavorare

"Ho dato una voce alle ragazzine trasformate in schiave"

C'erano così tanti dati, testimonianze, statistiche, fatti di cronaca che Abi Daré avrebbe potuto trasformare il suo romanzo in un saggio, o un lungo pamphlet, ma quello che ha deciso di raccontare è la storia di una ragazzina: Adunni, una undicenne nigeriana che vive in un villaggio e che, dopo aver perso la madre, prima è costretta ad abbandonare la scuola, poi a sposare un uomo di quasi sessant'anni che vuole un figlio maschio a tutti costi, poi a fuggire nella grande città, Lagos; e che qui, presa in casa a lavorare come una schiava da Big Madam, mentre è abusata, picchiata e non riceve un soldo, non abbandona il suo sogno: continuare a studiare, per diventare maestra e insegnare alle altre bambine del villaggio, alle altre Adunni, affinché possano scegliere che vita vivere. Da sole.

È così che Adunni è diventata La ladra di parole (Nord, pagg. 366, euro 18), la protagonista di un romanzo che negli Stati Uniti è stato un bestseller e che in Italia è già entrato nella classifica dei libri stranieri più venduti. Forse perché affronta un argomento di drammatica attualità, la segregazione e le costrizioni imposte alle donne in alcuni Paesi, che il ritorno al potere dei talebani ha reso di nuovo evidente agli occhi del mondo. E forse perché sentire la voce di una ragazzina ha una forza particolare: infatti il titolo originale del romanzo è The Girl with the Louding Voice, letteralmente «la ragazzina con la voce sempre più forte», perché quello è il sogno delle numerosissime Adunni che combattono in tanti luoghi del pianeta, fare sentire la propria voce.

Abi Daré conosce bene questa voce, perché in Nigeria è cresciuta, nella megacapitale Lagos, prima di trasferirsi in Gran Bretagna, dove ha studiato Legge e Scrittura creativa, e dove vive tuttora con il marito e le figlie. «Da adolescente, in Nigeria, mi sono accorta che molte ragazzine come me non andavano a scuola, bensì a lavorare nelle case, come domestiche, e ho capito che io ero privilegiata, perché non dovevo andare a pulire, cucinare, lavare... E così mi sono chiesta: perché? E perché a lavorare erano quasi soltanto le femmine?». Questa domanda è rimasta nella testa e nel cuore di Abi Daré per molti anni e, quando la scrittrice ha lasciato la Nigeria per frequentare una università inglese, la domanda ha viaggiato da un continente all'altro, fino a che, un paio di anni fa, si è riaffacciata nella vita quotidiana: «Ero in casa con mia figlia, che allora aveva otto anni, proprio l'età in cui vedi le ragazzine andare a servire nelle case, e lei si è lamentata perché non voleva aiutarmi a fare la lavastoviglie - racconta Daré - Così io le ho detto: devi considerarti una privilegiata, ci sono ragazzine come te che non hanno la possibilità di dire no, e che devono lavorare come serve. E lei mi ha chiesto: perché?».

Il passato, la Nigeria di quando era ragazzina e quella domanda sono tornati tutti in una volta e così Abi Daré ha cominciato a fare ricerche, per capire perché tante ragazzine vengano costrette ad abbandonare la scuola e ad andare a lavorare duramente. «Quello che perdono è innanzitutto la possibilità di ricevere un'istruzione: ad alcune non interessa, ma il fatto è che non hanno neanche la possibilità di scegliere se averla o no». Le storie di queste bambine - hanno dagli otto anni in su, alcune anche meno - sono la normalità nascosta di molti Paesi. «Nessuno le conosce, nessuno sa se abbiano dei sogni, delle speranze, dei desideri; se magari, come Adunni, vogliano diventare insegnanti. Non hanno nomi, né volti, né voci».

Una voce però è arrivata, anch'essa dal passato in Nigeria: «C'era una ragazzina che conoscevo e credo che sia stata lei a influenzarmi nel creare il personaggio di Adunni. Aveva undici anni, lavorava per una famiglia vicino a casa nostra e aveva questi occhi luminosi, i denti splendenti e cantava sempre, era sempre contenta, anche se faceva la domestica. Quando la sua Madam, la sua signora, la sgridava o le urlava, lei non smetteva di cantare e di sorridere. Come lei, Adunni è una ragazzina che non ha paura di parlare, con la sua voce bellissima, i suoi sogni e le sue speranze».

Adunni non ha un aspetto in particolare, sappiamo solo che è bella come sua madre, che è morta e che lei sente sempre vicino a sé: «La storia di Adunni è la storia di milioni di ragazze, e il suo aspetto è quello di milioni di ragazze con sofferenze simili alle sue, indipendentemente dalla cultura, dalla religione e dall'ambiente da cui provengono». Molte di loro sappiamo che abitano in Afghanistan: «Lì è anche peggio, perché si tratta di un intero Stato che non lascia scelta alle donne... Io avevo concepito la storia di Adunni come un romanzo, ma la realtà è anche peggio. Per questo bisogna continuare a combattere per aiutare queste ragazze». L'istruzione è la chiave di volta di questa battaglia: «Togliere la possibilità di studiare è togliere l'identità. Lo studio ti dà fiducia in te stesso e la capacità di compiere le tue scelte, di definirti per quello che sei, come individuo». Invece quello che succede è che «viene uccisa una parte essenziale di queste ragazze, per rinchiuderle in casa a cucinare e a pulire». Spesso tutto questo è accompagnato dalla violenza, da abusi fisici e psichici, e c'è una parola per definirlo: «Una schiavitù, assolutamente, è una schiavitù» dice Daré. E a portare avanti schiavitù e violenze non sono solo i padri e i mariti ma anche le donne, come le Madam, le signore che «comprano» queste ragazzine da procuratori senza scrupoli: «Ho letto decine e decine di articoli su giovani domestiche maltrattate dalle donne che le avevano assunte. Solo poche settimane fa ho letto di una donna arrestata per questo. Ci sono donne che avrebbero il potere di farsi sentire, di combattere questa situazione, perché sono proprio le donne a scegliere le domestiche e dovrebbero rifiutarsi di assumere ragazze minorenni, senza contratto e senza salario. Le donne hanno un ruolo molto importante da svolgere».

Ci sono donne come la madre di Abi Daré, per esempio, Teju Somorin, la prima professoressa a insegnare diritto fiscale e tributario in una università nigeriana, e alla quale il romanzo è dedicato: «Negli anni '90 era divorziata e con mille sacrifici ha continuato a pagare delle buone scuole per me e mio fratello, ha investito nella nostra istruzione e, se sono qui, lo devo a lei». Sente sempre la sua voce, anche se lei è rimasta a Lagos, proprio come Adunni sente la voce della madre. E la voce forte di Adunni com'è? Dal punto di vista linguistico, imperfetta, perché parla il broken English di chi, in Nigeria, è poco istruito: «Ma io volevo far vedere che parlare un bell'inglese non significa essere intelligente...

Adunni parla il broken English, eppure è brillante». E poi c'è un'altra voce, la più importante: «Quella della sua persona, che vuole farsi sentire e diventare una maestra, per tornare al villaggio e combattere per le altre ragazzine come lei».

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