"Ho fatto un viaggio nella pazzia di Manson"

Nella serie "Aquarius" l'attore inglese Gethin Anthony interpreta il sanguinario guru hippy

"Ho fatto un viaggio nella pazzia di Manson"

Una parte per niente facile. Gethin Anthony, attore inglese che si è fatto le ossa nel Trono di spade , nella serie Aquarius (dal 14 ottobre su Sky Atlantic, 21,10) interpreta Charles Manson, mandante di svariati omicidi - tra cui quello di Sharon Tate nel 1969 - e leader della comunità The Family, un gruppo di ragazzi sbandati che Manson, sul finire degli anni Settanta plagiò sino a convincerli che lui fosse contemporaneamente la reincarnazione di Gesù Cristo e di Satana. Un ruolo da cattivo, nella fiction che ricostruisce il mondo criminale e psichedelico della Los Angeles dei sixties , e che lo contrappone al poliziotto vecchio stile Sam Hodiak (David Duchovny che tutti ricordano per X-files ).

Anthony come si è preparato ad interpretare uno dei criminali più famosi e spietati della storia Usa?

«Per fortuna su la Los Angeles anni '70 esiste un sacco di materiale. Dai documentari alla musica che è diventata oggetto di culto, alle interviste allo stesso Manson. Io per ora mi sono concentrato sul Manson del primo periodo, quello della fondazione della Family. Ho passato moltissimo tempo ad ascoltare nastri con la sua voce. Ho anche preso un nuovo maestro di recitazione a Los Angeles. Essendo io inglese avevo bisogno di un “immersione” nell'ambiente».

Che idea si è fatta di Manson? Era un pazzo mitomane oppure usava lucidamente il mito che aveva costruito?

«È una bella domanda. Non sono un medico ma ho letto anche dei libri di psichiatria per cercare di farmi un'idea. Innanzitutto va detto che Manson ha subito violenze sin da giovane e ha fatto anni di carcere. Questo non lo scusa ovviamente, ma in quell'ambiente ha sviluppato la follia come una sorta di arma di difesa. Era piccolo, minuto, in mezzo ad un branco di bestioni violenti. Capì che, per farsi temere dagli altri, lo strumento migliore era sembrare completamente fuori controllo. Essendo dotato di carisma e intelligenza costruì una parte e la recitò. È difficile dire quanto la recitò così bene da convincere anche se stesso».

Una bella sfida interpretarlo...

«C'è una frase di Manson che mi ha molto colpito. Manson più volte ha detto di non essere nessuno. Di essere solo uno specchio che riflette le persone che gli si parano davanti. Inquietante...».

Non è strano che un personaggio del genere fosse così ben inserito nel giro della Los Angeles anni '70. La serie insiste molto su questo.

«Era un ambiente molto aperto, innovativo e libero. Sperimentale. Facilmente si entrava in contatto con tutti. Era la sua forza e la sua bellezza. Ma era un ambiente fragile. Una persona come Manson poteva sfruttare quell'apertura e quell'ingenuità a piacimento. Entrò in contatto con uno dei Beach Boys sfruttando qualcuna delle sue ragazze, tanto per dire».

E come mai secondo lei è diventato

un'icona?

«Proprio per l'incomprensibilità della sua violenza e il fatto che quella violenza abbia sfiorato persone così famose. E poi quella violenza è esplosa in un'epoca che ha plasmato il nostro immaginario».

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