“House of Gucci”: scomposta e spassosa operetta tragica

Ispirato al delitto Gucci del 1995, va in scena un racconto shakespeariano costellato di momenti da soap opera. Prova eccellente di Lady Gaga e del sempre maestoso Al Pacino

“House of Gucci”: scomposta e spassosa operetta tragica

Tra i film più gustosi di questo periodo prenatalizio spicca quello sulla dinastia Gucci firmato da Ridley Scott. Considerato che la pellicola intende ripercorrere l’antefatto dell’omicidio di Maurizio Gucci ad opera della di lui ex-consorte, Patrizia Reggiani, l’aggettivo “gustoso” può suonare irrispettoso e fuori contesto, eppure è quello giusto: House of Gucci apparecchia infatti la genesi di un crimine con ogni sorta di esagerazione. Basandosi sull’omonimo libro di Sara Gay Forden, che romanza e reinventa la vicenda originale, il film è una farsa tragica e, al contempo, una tragedia farsesca, in cui una scalata al successo diventa un gioco al massacro. Opportunismo e mancanza di moralità guidano le azioni di individui per cui il valore economico e quello esistenziale sono la stessa cosa. Misfatti e dinamiche di potere scorrono a ritmo serrato avvincendo per una durata (non percepita) di 157 minuti.

Il racconto ha inizio nel 1978, con l’incontro tra un rampollo e un’arrampicatrice sociale: Maurizio Gucci (Adam Driver) e Patrizia Reggiani (Lady Gaga). Grazie alla caparbietà di lei, in breve tempo i due si sposano. Rodolfo (Jeremy Irons), il padre di lui, li ripudia, ma la coppia trova riparo presso lo zio Aldo (Al Pacino), che da New York gestisce l’impresa di famiglia. Lei, innamorata ma ambiziosa, ha lo stile volgarotto di chi non riesce a celare la propria famelica avidità e, con ripetuti sotterfugi, si intromette negli affari di famiglia puntando sull’inadeguatezza dell’altro erede della dinastia, il figlio di Aldo, Paolo (un Jared Leto in vena di parodia).

Incrocio tra “Il Padrino” e “Dynasty”, “House of Gucci” è incentrato su una faida ricca di tradimenti e che sfuma continuamente il dramma in operetta (come sottolineato dal commento musicale). I toni sbilanciati con delirante programmazione, la cronaca giudiziaria popolata di figure burlesche, l’abitudine dei personaggi di soffocare la sofferenza nella stravaganza: c’è del genio truffaldino nella ricostruzione svagata di una tragedia shakespeariana che sa essere anche una mascherata trash.

La ricostruzione presenta varie incongruenze con la realtà, come il ridurre a una soltanto le due figlie avute da Maurizio e Patrizia. La trascuratezza dell’ancoraggio biografico d’insieme contraddice l’invece maniacale riproposizione estetica di abiti e pettinature.

Lady Gaga, credibile, magnetica e carismatica come non mai, si mangia la scena. La sua Patrizia Reggiani è una che sa quello che vuole e come ottenerlo. Ambigua manipolatrice, donna che unisce passione e calcolo, ma anche soggetto instabile al punto da entrare in combutta con una cartomante (che pare comico sia Salma Hayek), sarà accecata prima dall’ambizione e poi dall’odio.

La verve recitativa e il modo stereotipato di intendere l’italianità hanno il loro emblema in un Al Pacino eccessivo ma mai caricaturale, mentre le interpretazioni di Jeremy Irons e di Adam Driver, altrettanto valide, traggono potenza dal loro essere sottili.

Siamo in un lussuoso guilty pleasure, capace di rendere a tratti irresistibile il lato oscuro di super-ricchi per i quali il valore esistenziale di un individuo coincide col suo potere economico.

“House of Gucci” è tante cose assieme, spesso stridenti tra loro proprio come l’accostamento tra canzoni pop e lirica: un melodramma familiare basato su una storia vera, una

produzione hollywoodiana dal cast stellare e un’opera cinematografica tanto fuori controllo da diventare imperdibile, soprattutto se vista in lingua originale (inglese con inflessioni in italiano farlocco).

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