I bicchieri di Einstein e le molliche di Bohr: a tavola coi grandi fisici

Un libro racconta la cena del '27 a Bruxelles, un «ritrovo di cervelli» con molti tic e manie

I bicchieri di Einstein e le molliche di Bohr: a tavola coi grandi fisici

Gli scienziati e le loro manie, i tic, le abitudini paradossali. Per esempio: se aveste potuto avere Einstein a cena, di cosa avreste parlato? E lui, come si sarebbe comportato? Perché l'accoppiata di genio e sregolatezza non vale solo per Salvador Dalí o Charles Baudelaire ma anche per i più grandi scienziati della storia. Lo racconta, molto bene, un libro di Gabriella Greison, L'incredibile cena dei fisici quantistici, edito da Salani. Leggermente romanzato, però attendibile, perché frutto di molte ricerche e basato su documentazioni.

Il luogo fatidico è una cena che si svolse a Bruxelles, in seguito al V Congresso Solvay, e che raggruppava intorno a un tavolo i geni della fisica che hanno cambiato il mondo: un'utile guida per sedervi a tavola con Albert Einstein, Niels Bohr, Max Born, Paul Langevin, Marie Curie o Louis De Broglie. L'anno era il 1927, quando entrarono in collisione, tra una posata e l'altra (e anche prima in verità), la fisica classica e la meccanica quantistica. Problema tutt'ora insoluto: trovare un'unica teoria (la famosa teoria del tutto del film su Stephen Hawking) che unifichi le leggi della fisica a livello microscopico con quelle che valgono su scala macroscopica.

Einstein rifiutava l'idea di un universo costruito sull'indeterminazione delle particelle elementari, ma aveva ragione Bohr, tra i principali fondatori della meccanica quantistica: un elettrone si comporta come un'onda e come una particella a seconda di come viene osservato, può trovarsi in due punti nello stesso tempo, e conoscendone la velocità non è possibile determinarne la posizione e viceversa. Una storia molto complicata, a tal punto che Richard Feynman, padre dell'elettrodinamica quantistica, sentenziò: «Credo di poter dire con sicurezza che nessuno capisce la meccanica quantistica, chiunque afferma di capire la teoria dei quanti mente oppure è pazzo».

Ma torniamo ai tic. Marie Curie alzava tre volte la forchetta e la riabbassava prima di metterla in bocca, per paura di scottarsi. Niels Bohr formava triangoli con le posate (la base doveva essere allineata al tavolo) e ne calcolava l'area. Oppure costruiva un treno con le molliche di pane, facendolo muovere su binari immaginari. A proposito, il treno era un'ossessione di tutti i fisici (come sa chi segue la serie tv The Big Bang Theory). Aveva più possibilità di fare conversazione con Einstein un ferroviere che un biologo. L'importante è che mai niente fosse lasciato incompiuto: chi iniziava a canticchiare una canzone doveva finirla, chi iniziava un discorso doveva portarlo a termine, e se non lo faceva c'era il rischio di impazzire (proprio come succede a Sheldon Cooper).

Invece De Broglie odiava i formaggi, ma gli piaceva prendere quello con la consistenza giusta e modellarlo per farne una scultura, in genere un fischietto come quello dei capistazione. Einstein amava far tintinnare i bicchieri con il coltello, oppure ingozzarsi di pane. E se gli aveste servito un piatto, avrebbe prima disposto i cibi a seconda del colore, dal più chiaro al più scuro. L'importante era non stare seduti vicino a Paul Langevin: odiava chi faceva rumore con la bocca, a tal punto da sentirsi male e correre al bagno per riprendersi (ma a chi non dà fastidio sentire biascicare il proprio vicino di tavolo?).

Si sarebbe spettegolato sugli assenti, per esempio su Wolfgang Pauli, Werner Heisenberg, o Paul Dirac, oppure si sarebbero confessate le proprie paure. Per De Broglie la paura più grande era stata fare il servizio militare durante la guerra, mentre Marie Curie aveva paura dei ragni e delle persone che amano stare a testa in giù.

E per Albert Einstein? Di cosa aveva paura il più geniale fisico di tutti i tempi? Dei buchi neri? Di una supernova? Di una lacerazione nella maglia dello spazio-tempo? Macché, Albert aveva paura degli uccelli, in particolare dei colibrì. Un trauma infantile: «Il mio primo ricordo è un colibrì che si fionda in picchiata sul mio passeggino per rubarmi il succo di mela dalla mia tazza con il beccuccio». E non crediate che uno come Einstein si sarebbe presentato a casa vostra elegante, in giacca e cravatta.

Perfino alla cena di Bruxelles era sciatto, con i pantaloni sformati, e a un'obiezione sul suo vestire trasandato rispose: «Guardi, è già tanto che non sono venuto alla serata con la mia tenuta da notte, e le ciabatte».

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