La letteratura di László Krasznahorkai è emergenziale. Nei romanzi dello scrittore ungherese si ha sempre a che fare con una crisi, con la resistenza di fronte a quella crisi e con l'instaurarsi di un nuovo, benché differente, stato di crisi. In Satantango c'è la crisi del comunismo giunto agli sgoccioli e c'è la crisi determinata dal ritorno inatteso di un antico leader dato per morto; in Melancolia della resistenza c'è la crisi di una società in declino e la crisi fomentata da chi vuole governare il caos che ne deriva; in Guerra e guerra c'è la crisi di un uomo solo, un oscuro archivista venuto in possesso di un libro in cui si fa la storia di passate crisi storiche e si prefigura la prossima; in Il ritorno del barone Wenckheim c'è la crisi causata da un altro ritorno eccellente, quello di una gloriosa figura locale che, se sulle prime pare risollevare le sorti di uno sperduto paesino, ben presto innesca la crisi di un nichilismo con toni da Giudizio universale.
Secondo lo stesso autore, il titolo virtuale e complessivo di queste sue quattro opere, o meglio, di questi quattro capitoli di un'unica opera, dovrebbe essere «Sconfitta», sottotitolo «Manicomio come rifugio». Come a dire che il mondo pare voler cercare rifugio nella propria follia... Anche qui, in Herscht 07769 (edito da Bompiani come i precedenti, pagg. 493, euro 25, traduzione di Dóra Várnai), l'emergenza continua in molteplici forme e modalità. Al punto che quando, a pagina 187, compare il primo riferimento alla «pandemia», sì, proprio quella tutt'ora in corso, vien fatto di considerarla una semplice variazione sul tema. E diciamo «variazione» con riferimento, a contrario, alle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, perché il sottotitolo del libro è «Il romanzo bachiano di Florian Herscht».
Siamo peraltro in Germania, più precisamente in Turingia, la terra del sublime JSB, e meno precisamente (essendo immaginaria la cittadina in questione) a Kana. E la musica di Bach è la seconda, decisiva, ossessione del poco più che ventenne Florian, il quale ricorda molto, e non certo nell'aspetto, il György Korin di Guerra e guerra, con il suo idealismo, la sua ingenuità, la fiducia che ripone nelle persone. Alto e possente, non ha famiglia. È stato adottato dal Boss che lo usa come aiutante nel pulire i muri dagli sgorbi dei graffitari. Il Boss è un brutto ceffo, volgare, violento, e oltretutto a capo di un gruppuscolo di nazisti. Quando Florian conosce il dottissimo signor Köhler, ecco nascere la sua prima ossessione: niente meno che la fine del mondo, poiché, detto a spanne, durante lo scontro-elisione fra materia e antimateria che ha dato origine a tutto e di cui il signor Köhler ha parlato in alcune conferenze, potrebbe essere sfuggita una fatale particella di antimateria... Florian è talmente preoccupato da investire della questione Angela Merkel. Tempesta la Cancelliera di lettere sollecitandola a porre il tema al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e attende (sempre meno fiducioso, in verità) una risposta. La gente di Kana, pur considerandolo un po' tocco (come dar loro torto?) vuol bene a Florian, e alcune signore, la bibliotecaria, la titolare di un bar e quella di un albergo, se lo coccolano come un tenero bambinone.
Poi irrompe Bach. Ma per il momento come vittima dei suddetti graffitari. Numerosi luoghi bachiani della Turingia vengono infatti imbrattati e ciò manda fuori di testa il Boss, che riconosce in JSB il vero, unico depositario dello spirito tedesco. Lascia perdere quella «grassa papessa ipocrita» e quelle «cazzate sull'universo» che sono roba «per ebrei», dice al ragazzo, e diamoci da fare per eliminare i delinquenti, visto che il Quarto Reich non può attendere. Da lì in poi è tutto un crescendo di crisi, cioè di drammi e fallimenti e minacce che si diffondono come un virus. Misteriose esplosioni nella notte, incendi, attentati, la guerra intestina alla congrega hitleriana, la polizia che classicamente brancola nel buio in mezzo a una selva di morti. E ci si mettono anche gli ambientalisti, sottovalutando il ritorno dei lupi...
Florian, dopo aver perso il punto di riferimento intellettuale del signor Köhler, sparito senza lasciare tracce, è angosciato, come tutti, e trova conforto soltanto fra le note di JSB. Ma quando il Boss gli regala, dopo un computer, un cellulare, raccomandandogli di non lasciarlo incustodito neanche per un minuto, incomincia a smanettarci sopra, quasi per noia. Che cosa significano queste fotografie con sopra una freccia?, si chiede. Sono video, ovviamente, nello specifico valevoli come prove schiaccianti di colpevolezze assortite.
Così, nei giorni in cui la tv MDR annuncia l'addio alla politica della Cancelliera, i tempi e le circostanze sono maturi per il fallimento persino del puro, solitario e inconsapevole eroe. Nonostante sia tornata la primavera, nonostante qualche allocco consideri chiusi i vari casi, nonostante appaia rassicurante il fatto che alla televisione si contino di nuovo i contagiati dal virus, qualcuno mostra di non credere alla favola del lupo cattivo. Perché ha scoperto di essere un lupo buono, e i buoni, come sempre, fanno una brutta fine.
La fluviale maestria narrativa di Krasznahorkai, il quale come sempre non mette un solo punto a interrompere i flussi delle
coscienze e degli eventi, colpisce ancora. E aggiunge in coda alla colossale recita il dolce veleno della vendetta sotto forma di un selvaggio ritorno alla natura, a capo di sequenze quasi filmiche, naturalmente musicate da Bach.
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