nostro inviato ad Andria
In fondo i Subsonica arrivano da lontano senza essere vintage. Rappresentano il meglio degli anni Novanta italiani, con quell'elettronica piena di rock, Depeche Mode e Kraftwerk, ma non sono rimasti ancorati alla nostalgia canaglia. E oggi, ventidue anni dopo il loro primo incontro nelle cantine di Torino, pubblicano l'ottavo album che non a caso si intitola «8» ed è la proiezione «di quelli che potrebbero essere i nuovi anni Novanta, ossia gli anni Venti del Duemila», spiega Max Casacci in un posto che più «8» non si può: il Castel del Monte a pochi passi da Andria, creato da Federico II a struttura ottagonale. Qui dentro tutto ha otto lati, dal soffitto delle torri fino alle pareti della corte centrale, austera e imponente come soltanto l'architettura tardo romanica riuscì a essere. «L'incontro tra il cerchio e il quadrato, tra il cielo e la terra», come dice qualcuno del gruppo. Cinque musicisti, cinque identità diverse: Samuel, Boosta, Ninja, Vicio, Casacci. Dopo esperienze soliste, pause e vacanze, si sono ritrovati senza aver perso per strada quasi nulla della propria ispirazione, a parte l'ingenuità. Per capirci, in un pomeriggio caldo e ventoso, l'ultima grande grande band «vivente» dei nostri anni Novanta parla degli 11 nuovi brani che hanno essenzialmente due pregi. Il primo (il più importante) è che sono tutti suonati da capo a piedi perché anche l'elettronica, quando è vera, ha un'anima e ha bisogno di basso chitarra e batteria. Il secondo è che «8» non è un disco per regalare una lacrima sul viso di chi era ragazzino negli anni Novanta e oggi vuol rivivere l'effetto che fa provare a far finta di tornare giovani. E' un album nuovo in tutti i sensi a partire dal primo brano Jolly Roger che è una ventata di elettronica muscolosa e irresistibile: «Il Jolly Roger è la bandiera dei pirati e noi oggi ci sentiamo ancora pirati. In un altro senso, ma sempre con una bandiera non definibile», spiegano loro che a dicembre faranno un tour europeo (guarda caso otto concerti) e poi a febbraio un tour italiano (anche qui, che caso, otto città) che è così atteso dal pubblico da aver già raddoppiato le date di Torino e Milano senza che il disco sia neanche nei negozi.
«Dopo quasi tre anni dal nostro ultimo concerto, è stato incredibile ritrovarsi a suonare come non fosse passato neanche un minuto», spiega Boosta che si è divertito a fare giochini da illusionista proprio in un luogo che dà illusioni come il Castel Del Monte con vista fino al lontano Mar Adriatico.
Invece il disco, che esce venerdì per Sony, non offre illusioni perché è robusto e ritmato, difficile da resistere per chiunque abbia intercettato gli anni Novanta anche solo per sbaglio. «Abbiamo scelto come titolo 8 non soltanto perché è il nostro ottavo disco ma anche perché è il simbolo della ciclicità del tempo», spiegano loro prima di riassumere una sacrosanta verità musicale: «Come negli anni Novanta ci fu una proliferazione di linguaggi dell'hip hop e si arrivò ad esempio al trip hop, adesso l'hip hop si è declinato nella trap. In fondo tutto è ciclico e ritorna, pur in altri modi riveduti e aggiornati».
In sostanza gli anni '20 saranno i nuovi anni '90 e poco importa che in mezzo sia trascorso musicalmente un secolo. «Per capire cosa funzionerà tra dieci anni, basta andare nei mercatini dell'usato», dicono loro che, da veri torinesi, conoscono quelli un tempo intorno alla stazione di Porta Nuova: «Ci sono soltanto abiti di moda degli anni Novanta». Ossia: torna quella voglia di suoni. Loro lo sanno e fanno i conti con le proprie inevitabili voglie soliste. Dopotutto una band è come un matrimonio: difficile conservare a lungo l'armonia.
«Ognuno di noi da solo è convinto di essere Capitan Harlock e di salvare il mondo, ma poi nella band si trova un altro assetto», dicono più o meno convinti. Forse arriveranno a Sanremo come ospiti, forse faranno altre comparsate tv, in ogni caso oggi si presentano come una vecchia band che sa di nuovo. E che suona davvero. Ce ne fossero.
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