Vita da Murgia: sempre contro per avere tutto

Vita da Murgia: sempre contro per avere tutto

Essere superata in classifica dal libro di Alessandro Sallusti era già qualcosa di intollerabile. Dal libro di Giorgia Meloni, poi... «Adesso anche quelli di destra leggono?», ha chiesto Michela Murgia al suo ufficio stampa. Di più. Scrivono.

Michela Murgia scrive da quando era una ragazzina, a Cabras, regione del Campidano di Oristano, riva sinistra del meraviglioso stagno di Cabras, o Mari Pontis: terra acquosa di papere (tante papere), umidità (alta), bottarga (eccellente), nuraghi (all'incirca 75) e fenicotteri rosa. Metà maschi, e metà quote rosa, come tutto nella visione di una donna che prima di essere femmina è femminista e prima di essere scrittrice è militante. «Tutti gli uomini sono maschilisti». «Beh, insomma, parliamone...». «Stai zitto!».

La Murgia, che detesta l'articolo determinativo prima dei nomi e la desinenza maschile alla fine di qualsiasi parola, non è Rosa Luxemburg e neanche Simone de Beauvoir. Ma una notevole intellettuale di lotta, di festival, di palco e di talk show. «Come conciliare la lotta al patriarcato con l'amore per la nuova canzone di Elettra Lamborghini che parla di un uomo vero? Ne parliamo stasera con Concita De Gregorio, Mariolina Sattanino e Michela Murgia...». Gli scrittori non ti salvano la vita, ma a volte ti svoltano la serata.

Ottima romanziera (Accabadora conquistò la critica, vinse il Premio Dessì, il SuperMondello e il Premio Campiello: è ancora un libro amato e vendutissimo), teologa così così (il suo trascurabile Ave Mary non convinse L'Osservatore Romano: «fatto di idee banali, rivela una preparazione decisamente insufficiente sulla storia della Chiesa, e in particolare su quella delle donne nella Chiesa»), politologa raffazzonata (diciamo che su Hamas e i generali dell'esercito ha idee un po' confuse) e superba ospite di molte trasmissioni televisive (in entrambe le accezioni dell'aggettivo «superba»), Michela Murgia - riconosciutasi da tempo in un'identità di genere non binaria: né di destra né di sinistra, dividendosi così l'antipatia di entrambe le parti - ha un immenso merito. Quello di essere sempre dalla parte giusta. La sua. Cosa che, non mettendosi mai in discussione, può essere molto consolatorio.

Alter ego femminile, oltre che femminista, di Massimo Giannini, e sorella gemella di Tomaso Montanari (al quale lo accomuna l'invidiabile capacità di intervenire su qualsiasi argomento, dalla pandemia al fascismo) Michela Murgia eccelle in tutto (absit iniuria, che è latino, non sardo): nei romanzi, nel giornalismo, nella conduzione delle trasmissioni tv, nel presenzialismo ai festival se non c'è la Murgia in programma, non stampano neanche le shopping bags nel suo esser blogger, drammaturga, critica letteraria e opinionista. E soprattutto faziosa. Meraviglioso esempio di come se non hai idee su come allargare la facoltà di parola, ne trovi sempre di ottime per limitare quella degli altri. «Stai zitto! Ce l'ho io il murgiometro per misurare come va il mondo».

Il punto è che il pensiero pubblico dell* Murgia procede sempre per parole chiave: fascismo, maschilismo, sessismo, razzismo e Fregula (ottima cucinata con le arselle). E se come password del wifi ha «Sàlv1n1-Pu77oNë» è solo accidentale.

Michela Murgia, la più prolifica delle tricoteuses di Place de la République, attualmente della Stampa, pensa che il maschio bianco eterosessuale sia colpevole in sé e per sé, a prescindere. «Da cosa?», «Da tutto». Pensa che l'italiano sia una lingua discriminatoria, e così taglia le desinenze. Pensa che il femminile non esista, è solo un costrutto sociale, e fa del femminismo, di per sé non una cattiva idea, un'ideologia. Pensa che chiunque non si muova sull'asse Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, L'Altra Europa, La7, Feltrinelli, Repubblica, RaiTre, Salone del Libro di Torino, sia ips* fact* fascista, e fa così del fascismo la maggioranza.

Insomma, il mainstream spiegato bene. «Noi decidiamo cosa è giusto, e democraticamente lo imponiamo agli altri». Per fortuna i sardi non sono cocciuti.

Sacerdotessa di quella particolare forma di sharia occidentale che è il politicamente corretto Shewa, asterisco e #RestiamoUmani -, ormai più influencer politica che narratrice, inflessibile paladina dell'etica sull'estetica («La letteratura caro Walter Siti - è impegno, o non è!»), la scrittrice sarda - gonne a fiori, contratti disattesi e pacate riflessioni sul conflitto arabo-israeliano - è un'instancabile agit-prop delle giornate internazionali contro l'omofobia, la misogina, la bifobia, la lesbofobia, la transfobia, la binariofobia, la trenifobia, Trenitaliafobia, Italofobia e i passanti ferroviari. Caghinéri.

Ma poi ecco il vero problema «Perché non c'erano #donne nella scena iniziale di Salvate il soldato Ryan?».

Fedele al motto «Conosci il nemico e la vittoria sarà tua», Michela Murgia, studiando a fondo l'avversario, preparandosi come fosse sempre la sfida della vita, vivendo ogni confronto pubblico come un incontro di Istrumpa, di solito vince. Ma facendo danni devastanti. Il raffinato dibattito socratico sui testi di Franco Battiato le ha scatenato addosso una shitstorm biblica, che in sardo si dice Ti cagu a facci. Negando il femminile, ha permesso a Paola Ferrari di risponderle che «Il femminismo è il passato». Gridando ogni giorno al fascismo, rende gli antifascisti degli esaltati. E additando i privilegi di una supposta élite bianca, etero e maschile, fa della democrazia qualcosa che non è più di tutti ma delle minoranze che ne impongono la loro visione.

Poi, dopo l'ideologia, c'è il business. Attivismo, provocazione e dinai. Se non fosse sarda, no logo, struccata, cattolica e così di sinistra, la Murgia sarebbe Chiara Ferragni. Tutto quello che tocca diventa oro, abracadabra, accabadora: romanzi, saggi, pamphlet, audiolibri, spettacoli teatrali, blog, conferenze, podcast... Murgia, vorremo essere come te. «Mi dia del Lei!».

Aliena dai luoghi comuni che vogliono i sardi testardi, permalosi e vendicativi, in realtà Michela Murgia ha un raro senso dell'equilibro anche nei momenti dei peggiori scontri politici. Rosario, Azione Cattolica e Quattro mori, è rimasto alle cronache quando salutò cortesemente Matteo Salvini con l'indimenticato «Ti auguru de ci campai a 100 annusu: 99 annusu palasa a terra e un annu morendi». In inglese si dice hate speech. In italiano, murgismo.

In fondo, rimane solo da capire come una donna fieramente indipendente e ancor di più indipendentista (sulla Sardegna è più sovranista di Salvini sulla Padania), che ha frequentato l'istituto tecnico industriale e ha cominciato a lavorare in un call center, così nobilmente identitaria e fedele ai propri principi di lotta di classe, si presti a lavorare per gruppi industriali (Gedi, che fa capo alla famiglia Agnelli-Elkann) e gruppi editoriali (la Einaudi-Mondadori di Berlusconi) che sono tanto lontani dai suoi principi ideali e morali.

O come possa essere praticante di una religione, come il cattolicesimo, essenzialmente mansplaining. La Sardegna è un'isola stretta fra l'arcobaleno e il Vaticano.

E per tutto il resto, visto che l'ironia non attecchisce molto sull'Isola, Sbattirindi.

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