«Eravamo come marito e moglie. Anche se non eravamo sposati; anche se ci siamo separati. Il nostro legame non è finito mai». E non sa impedire alla voce di tremare, Renzo Arbore, mentre così riassume i tredici anni d'amore in realtà quasi quaranta - fra lui e Mariangela Melato. Assieme all'amico Gianni Boncompagni e Raffaella Carrà, lui e la Melato erano la coppia smart della fine anni '70; «un quartetto giovane, bello (le ragazze, non noi) divertente, creativo». E proprio al ricordo della grande attrice, scomparsa nel 2013 a 71 anni, renderanno omaggio le quattro puntate di Mariangela!, il programma di Fabrizio Corallo che (da domani su Rai Storia) fra i numerosi testimoni annovera proprio Arbore.
Come vi conosceste?
«Grazie a Lucio Battisti. Riunì alcuni amici per far ascoltare loro una canzone non ancora incisa: Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. Fra gli amici c'eravamo io e Mariangela. All'inizio sembravamo all'opposto, noi due. Io facevo il buffone goliarda a L'altra domenica in tv; lei recitava L'Orlando Furioso in versi con Ronconi... Io da grande volevo fare l'artista. E ancora oggi non so se ci sono riuscito. Lei lo era già allora».
Una coppia ben assortita. Mariangela che odia il jazz di Renzo; Renzo che si addormenta al teatro di Mariangela.
«Ma no: questo lo dicevamo solo per fare gli spiritosi, per sfotterci! In realtà Mariangela il jazz l'aveva nel sangue: nel magico ritmo, nella musicalità innata della sua recitazione. E io i suoi spettacoloni li adoravo. Certo: cinque ore di Ronconi mettevano a terra chiunque... Ma era solo un gioco della parti, il nostro».
Quando capì di amare una gran donna?
«Quando vidi che reagiva come me ai problemi. Sorridendoci su. Sapevamo scherzare anche fra le tristezze, noi due. Del resto lei era una donna ed un'attrice - molto seria, ma che non si prendeva mai troppo sul serio. Colta ma non snob; rigorosa e non noiosa; intellettuale eppure divertente. Cosa chiedere di più?».
E come attrice? Come la giudicava?
«Se fossi io a dirlo sembrerei di parte; ma è Giancarlo Giannini (suo storico partner nei film della Wertmüller) ad affermarlo: Mariangela è stata la più multiforme e poliedrica fra le attrici italiane. Comica e tragica, teatrale e cinematografica, nata per la commedia musicale come per il teatro barocco. Il pubblico popolare la ricorda mentre esce da una valigia, per ballare nella Canzonissima di Pippo Baudo; quello colto mentre declama versi del '600, nei panni d'una centaura, mezza donna e mezza cavalla».
E quelli dell'ambiente, come la giudicavano?
«Mariangela sapeva farsi amare. Mai gelosa dei suoi partner, generosa coi debuttanti, rispettosa dei tecnici. Stravedevano tutti, per lei».
E come andavate d'accordo, lei meridionale di Barletta, Mariangela lombarda che più lombarda non si può?
«Banale ma ovvio: gli opposti si attraggono. E poi lei adorava tutto di Napoli: da Eduardo de Filippo a Luciano De Crescenzo. Interpretò Filumena Marturano, lei, che era milanese! Saltava da Strehler a Garinei e Giovannini con la stessa disinvoltura con cui io avrei potuto girare un long-playing sul giradischi».
E allora perché finì fra voi due?
«Finì ma poi ricominciò. Finì perché, dopo il successo di Film d'amore e d'anarchia lei fu chiamata in America, dove rimase due anni, senza combinare molto, purtroppo. E due anni sono lunghi. Ricominciò perché, in realtà, non avevamo mai davvero rotto. Mai litigato, mai alzata la voce, neppure una sola volta».
Come ha vissuto i suoi ultimi giorni
Mariangela?«Come un'eroina. Ha accettato con coraggio le cure più dolorose, ha combattuto senza mollare mai. Io ho sentito che il mio dovere era quello di starle vicino. E lei ci ha edificati tutti. Fino all'ultimo».
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