Josef Albers (1888 - 1976), di Bottrop, è stato un grande pittore, designer, teorico (e straordinario insegnante) il quale per tutta la vita giocò e lavorò con l'instabilità delle forme e l'interazione fra i colori. Sua moglie, Anni Albers (1899-1994), nata a Berlino - nome da nubile Annelise Else Frieda Fleischmann - è stata invece una raffinata artista tessile e grafica. Si conobbero nel 1922, al Bauhaus, la scuola d'arte e design attiva in Germania fra il 1919 e il '33. Lei era di undici anni più giovane, s'innamorarono e si sposarono poco dopo, nel '25. Non si separarono mai. Vissero la vita che desiderarono vivere: lavorarono insieme, studiarono e insegnarono insieme, crearono insieme, condividendo la convinzione che l'arte potesse trasformare il mondo e che al centro dell'esistenza umana ci fosse la creatività. Ecco perché la magnifica e ricchissima mostra che il Musée d'Art Moderne di Parigi dedica a Anni et Josef Albers (anticipando signorilmente il nome di lei a quello di lui) si intitola «semplicemente» - sapendo quanto è difficile essere semplici nell'arte - L'art et la vie. È uno dei grandi eventi della stagione dell'arte.
Organizzata in stretta collaborazione con la «Fondazione Josef e Anni Albers», sita a Bethany, Connecticut (l'istituzione più importante al mondo dedicata ai due maestri), curata da Julia Garimorth e inaugurata pochi giorni fa (resterà aperta fino al 9 gennaio 2022), Anni et Josef Albers. L'art et la vie è una fra le prime - e più complete - esposizioni mai realizzate in Europa ideata come omaggio ai due maestri in quanto coppia. Josef e Anni, pionieri del modernismo e teorici dell'astrattismo, al di là delle diverse sensibilità, approcci, intuizioni e talenti, crebbero insieme, aiutandosi e sfidandosi, con la precisa convinzione, comune a entrambi, che l'arte potesse dare vita a infiniti cambiamenti. E il loro compito era a volte precederli, altre seguirli, altre ancora favorirli.
Ed eccola qui, la mostra monstrum: l'intero spazio per le esposizioni temporanee al piano terra del museo, 350 opere distribuite nei vasti spazi bianchi, amplificati dalla curvatura delle pareti, tra dipinti, fotografie, mobili, tappeti, arazzi, disegni, bozzetti, riviste, cataloghi, lettere, cartoline, persino copertine di dischi degli anni Sessanta, e un percorso che racconta una straordinaria avventura umana e artistica che ha segnato il secolo. Josef e Anni Albers non solo hanno progettato le basi del modernismo, ma hanno trasmesso i loro valori, le loro idee, le loro ossessioni e intuizioni a un'intera generazione di nuovi artisti, nonostante la modestia di Josef: «Non ho sviluppato alcuna teoria, ho solo imparato a costruire occhi sensibili». Che è solo una delle frasi scelte per punteggiare il viaggio tra il lungo serpentone di sale e corridoi.
Tutta la mostra è un labirinto - disegno geometrico cui Josef fu molto sensibile - di forme, linee, colori, accostamenti azzardati, equilibri, spiazzamenti, di pezzi uguali e inuguali. Equal and Unequal.
Il lungo cammino comincia con la produzione degli anni del Bauhaus, tra il 1920 e il '33: ci sono rarissime opere con assemblaggi di vetri colorati di Josef, il suo diploma conseguito al Bauhaus Dessau, i «reticoli», i primi tappeti di Anni e le sue prove tipografiche, i pezzi di design di Josef, dai servizi da tè ai mobili (come i Quattro tavolini colorati a incastro del 1927 che sembrano disegnati oggi, anzi domani) e moltissime foto, di loro o scattate da Josef (che acquistò la prima macchina fotografica nel 1928): ecco Josef che balla con Nina Kandinsky a una festa del Bauhaus all'Oranienbaum, ecco Anni con Paul Klee, del quale fu allieva, ecco gli scatti dei loro viaggi...
Poi l'epoca al Black Mountain College, North Carolina, quando la coppia è costretta a emigrare negli Stati Uniti, anno hitleriano 1933: un periodo di lavoro sui colori e le forme, di insegnamento («Non ho insegnato a dipingere ma a vedere»), di viaggi in Messico e della passione per l'arte precolombiana (c'è anche una sezione con la loro collezione di statuine e manufatti delle civiltà maya e azteca), delle tessiture pittoriche e dei gioielli di Anni...
Quindi i tempi di Yale, quando nel '50 Josef si trasferisce a New Haven per insegnare alla prestigiosa università (fino al '58) e dove diresse il dipartimento di Design. E qui bisogna segnalare la grande sala in cui, grazie all'enorme patrimonio filmico conservato, è stata allestita un'aula specificamente dedicata al ruolo di insegnanti di Josef e Anni per permettere ai visitatori-studenti di fare esperienza di una lezione «dal vivo»... Ma sono soprattutto gli anni degli «omaggi», le serie di pitture - disegni geometrici tra loro simili che danno effetti di ambiguità - il cui scopo è di esplorare gli effetti della percezione. «Nella percezione visiva un colore non viene quasi mai visto com'è realmente, fisicamente. Questo fatto rende il colore il mezzo più relativo nell'arte». Ed ecco la famosissima serie Omaggio al quadrato - in cui i quadrati, ripetuti e sovrapposti, sono dipinti con diverse tonalità di colore e creano un effetto ottico di profondità - che comincia nel '49 e durerà fino alla morte di Josef, nel '76. In tutto l'artista realizzò qualcosa come duemila dipinti. Qui, esposti, ce ne sono 25, più altrettanti studi di colore, in tutte le gradazioni del giallo, verde, grigio, blu, bianco...
Infine, l'ultima sezione, interamente dedicata alla sopravvissuta, Anni, e alla sua opera grafica, che coltivò per tutta la vita: litografie, serigrafie, disegni a biro su carta, photo offset, acquerelli, codici, triangoli, labirinti e sistemi binari... fino al 1994, anno della sua morte. È passato quasi un secolo...
In mezzo la storia di un uomo e una donna, complici, amanti e colleghi, che - fra rivalutazione dell'artigianato e attenzione alla produzione di massa - hanno scritto le nuove
regole visive del design e indicato la via a inediti sviluppi della percezione. «Dall'opera d'arte impariamo il coraggio. Dobbiamo esplorare luoghi ove prima di noi nessuno è stato».E questa volta la citazione è di Anni.
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