Cultura e Spettacoli

Klaus, figlio del tempo (e del padre Mann)

Il secondogenito di Thomas racconta il rapporto col grande scrittore e la propria vita tormentata

Klaus, figlio del tempo (e del padre Mann)

Togliamoci subito il dente, anzi la carie di un sospetto agghiacciante (che però non potremo mai fugare): «Sono incantato da Eissi, che mentre fa il bagno è terribilmente carino. Trovo così naturale il fatto di innamorarmi di mio figlio». Lo scrive Thomas Mann nel suo diario, in data 25 luglio 1920. L'incubo della pedofilia e dell'incesto, oggi purtroppo all'ordine del giorno, è lì dietro la porta del bagno, e lì resta per sempre. «Eissi» è Klaus, il suo secondo figlio, allora tredicenne. Un mese prima il diario riportava: «Ero tenero con Erika (la primogenita, ndr), che trovavo forte, abbronzata e graziosa, e lasciavo che Klaus si accorgesse della mia inclinazione, accarezzandolo e incitandolo ad avere coraggio dicendogli che la vita non sarebbe stata eternamente semplice»...

Quando, nel 1975, si iniziò a pubblicare i diari di Thomas Mann - che fecero subito scandalo per gli espliciti riferimenti all'omosessualità, sempre borghesissimamente mascherata in pubblico dallo scrittore - lui era morto, ottantenne, da vent'anni, ed erano morti anche Klaus, quasi certamente suicida per un'overdose di barbiturici il 21 maggio 1949, ed Erika, il 27 agosto 1969. Erano loro i due Mann meno manniani della famiglia. O meglio, i meno manniani se per «manniano» s'intende affine alla personalità di cotanto padre, ma, al contrario, i più manniani nel senso di potenziali personaggi da (ri)trovare nelle opere del «Mago di Lubecca»...

Quindi, ora che la prima autobiografia di Klaus Mann, Figlio di questo tempo, è finalmente disponibile in italiano (Castelvecchi, pagg. 215, euro 18,50, traduzione di Nino Muzzi), è possibile leggerla concentrandosi soprattutto sulla visione periferica, cioè mettendo a fuoco, insieme alle vicende di Klaus fuori dalle mura domestiche (il libro risale al 1932 e si chiude con i fatti del '24, mentre la sua seconda autobiografia, La svolta, è del '42), la presenza-assenza del padre. Il quale, sempre nei diari, affermava: «L'educazione è atmosfera, nient'altro». Cioè, vista dalla parte di Klaus, l'educazione manniana non è una lezione ex cathedra, ma si respira a colazione, pranzo e cena, si odora nell'afrore di sigaro, si ascolta con poche ma incisive parole. Figlio di questo tempo, in tal senso, è due libri in uno: da una parte c'è il mondo esterno, con le amicizie di Monaco e di Berlino, il ribellismo, le goliardate sopra le righe da veri teppisti, l'«Alleanza dei mimi tedeschi dilettanti» che introduce alla magia del teatro, fra travestimenti e disvelamenti, il collegio di campagna vissuto come sintesi di punizione e di premio, le prime pulsioni sessuali suscitate da un compagno di classe, le letture onnivore e disordinate. E dall'altra parte, in casa, c'è, anche da remoto, come per una didattica a distanza, quel convitato di pietra compassato, altero, autorevole, quasi regale, e in talune occasioni sottilmente ironico come nelle sue opere. Eccolo.

Quando Klaus, da piccolo, gli confessa di sognare spesso «un uomo con la testa sotto braccio, barcollante e velato», lui gli consiglia di dirgli: «Sparisci subito. Mio padre ti proibisce formalmente di venirmi a trovare!». E l'uomo, stranamente, sparì. Una volta «a tavola offrì a Erika - solo a lei - un dattero e spiegò questo orribile gesto con le parole: È bene che vi abituiate per tempo all'ingiustizia». Quando i ragazzi mettono in scena La governante di Körner, con Klaus «nel ruolo di una signorina in crinolina», lui scrive una recensione tutto sommato positiva nel «Libro della mimica» dei ragazzi. Aggiungendo in coda: «I costumi erano stilisticamente perfetti, le decorazioni dignitose, il pubblico scelto - a parte quel tipo grossolano che nella raccolta col piattino iniziata alla fine della rappresentazione, certo sotto l'apparenza sorprendente di un sostenitore del teatro, ha avuto l'ardire di versare la somma di 7 (dico sette!) pfenning (!?!), un gesto da cui anche in questo passo noi non vogliamo né possiamo né dobbiamo mancare di prendere esplicitamente le distanze» (dove il «tipo grossolano» è proprio lui, Pielein come lo chiamavano in famiglia).

Al figlio, il padre appare dotato di una «psicologia wagneriana», ma quando Klaus gli presenta (dodicenne!) un breve romanzo di formazione da lui scritto in cui il personaggio è combattuto fra «piacere dei sensi ed estremo senso del dovere», Thomas lo esamina subito e glielo restituisce dicendo: «non l'ho letto malvolentieri», cosa che equivale a un successo clamoroso. «Credo che nostro padre fosse effettivamente snervato e contrariato per il nostro disorientamento morale», scrive Klaus rievocando la primavera del '22 e riferendosi a sé stesso e ad Erika. E quale passo fecero, mamma Katia e papà Thomas, per risolvere la questione? Via, smammare, ve ne andate in collegio in campagna, nel Vogelsberg, in Assia Meridionale, e guai a voi se non studiate.

Quando il drammaturgo e sceneggiatore Carl Zuckmayer volle raccomandare Klaus a Walter Mehring, campione della satira durante la Repubblica di Weimar, per introdurlo nel giro del cabaret, scrisse all'amico una lettera in cui, ricorda Klaus, «diceva che mio padre e Rainer Maria Rilke si erano accoppiati nell'Englischer Garten e che così ero nato io». Voleva essere un clamoroso complimento, ma la stampa ci ricamò sopra con acrimonia. Poco importa a Klaus, quando scrive Figlio di questo tempo, perché tirando le somme del suo rapporto con Thomas afferma: «Il conflitto padre-figlio durò appena un anno della mia vita. Visto come stanno oggi le cose, lo considero il più superfluo e il meno interessante dei problemi».

Ripensando da dove siamo partiti, prendiamola come una deposizione importante a favore del sospettato.

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