«Exodus sarà fottutamente grandioso», prometteva Ridley Scott, mentre girava in Andalusia e nelle Canarie, con la sua proverbiale velocità (74 giorni), il kolossal epico Exodus: Dei e Re , sui nostri schermi il 15 gennaio, a sale affamate dopo la sbornia di Natale. Promessa mantenuta: il suo più magniloquente «sandalone» in 3D - le cavallette delle dieci piaghe bibliche vi entreranno in bocca; rane viscide vi salteranno agli occhi e avrete paura di Dio -, è davvero ricco. Di nuove idee, prima che di effetti digitali. Ne abbiamo individuate alcune, dopo l'anteprima che la 20th Century Fox ha offerto alla Casa del Cinema, per testare il sentimento europeo, prima della prémiere londinese e prima dello sbarco Usa, il 12 dicembre.
Innanzitutto, è il blockbuster storico più politico di quest'anno biblico, che dopo gli incassi di Noah (359 milioni di dollari nel mondo), tocca l'apice con il racconto d'un Dio per nulla pacifico (l'11enne inglese Isaac Andrews, truccato da giovane aggressivo) e di un Mosè belligerante (Christian Bale, fisico come in Batman ), pronto alla spada e all'omicidio, pur di salvare gli Ebrei. E mentre la questione israelo-palestinese resta sulla scena rovente degli assetti mondiali, tirare una volata d'autore a Israele, quale popolo oppresso, le cui vicende dolorose cambiano l'inizialmente pacifico Mosè, ha un peso. Non solo artistico. Come dimostra la polemica appena divampata sull'assenza di attori di colore, o almeno olivastri, per impersonare gli egiziani. È sotto tiro, infatti, il cast dei bianchi in Exodus . «Vero: potevo ingaggiare uno sconosciuto Mohamed Tal dei Tali, ma i produttori non mi avrebbero dato i soldi», ha ammesso Scott, scatenando un putiferio in Rete. A spalleggiarlo, è entrato in scena il magnate Rupert Murdoch, boss della Fox, che prima ha twittato: «Da quando gli egiziani non sono bianchi?» e poi ha replicato agli attacchi: «Naturalmente gli egiziani sono mediorientali, ma lontani dall'essere neri. Non c'è niente di razzista in quel che ho detto, calmiamoci».
Exodus , che narra la storia di Mosè in armi contro il fratello, il faraone d'Egitto Ramsete - Joel Edgerton, faccia da gaglioffo, quando succhia la polpa d'un granchio enorme, come fosse l'ultimo burino: antipatizzazione voluta, con un occhio a Yul Brinner di Ben Hur -, nel momento in cui il profeta del Vecchio Testamento traghetta 600mila schiavi ebrei, via dalla sopraffazione. All'inizio Mosè, vestito di semplici tuniche scure, cresce sereno col fratello, in sontuosa lorica d'oro: i due incrociano le daghe a palazzo, sotto gli occhi benevoli del padre biologico di Ramsete e adottivo di Mosè, John Turturro. L'idillio è rotto dalla divinazione delle viscere di un'oca: in battaglia, uno solo vincerà. Nel nome del dio pagano Sekhmet, si profila un dramma, visivamente accentuato dal «blu Ridley Scott», visto nel Gladiatore . Qui, come lì, la Grande Storia nasce dalla microstoria e sarà fratello contro fratello. È il leader degli schiavi ebrei (Ben Kingsley) a rivelare a Mosè: «Tu sei ebreo, arrivato qui dentro una cesta». «Bella storia», risponde chi non crede a Yahweh. Poi Mosè prende coscienza della sua ebreitudine e sguaina la spada.
Diventando più forte: sposa Myryam e minaccia Ramsete. Seguono le piaghe bibliche: acque rosso sangue, carri dorati del faraone che precipitano nel vuoto. La guerra è dichiarata: al box-office c'è da battere I 10 Comandamenti (1956) di Cecil B.DeMille e nel mondo, l'Isis.
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