Cultura e Spettacoli

L'abisso è dietro l'angolo. Le angosce nere di Goya

Una suggestiva esposizione del pittore spagnolo dai ritratti di corte ai "Capricci" delle anime

Riehen (Basilea). La mostra perfetta non esiste, ma quella che la Fondation Beyeler ha dedicato a Goya, a 275 anni dalla nascita del maestro spagnolo, ci si avvicina parecchio. Partiamo dai numeri: settanta i dipinti esposti tra cui la strabiliante La Maja vestida e un centinaio di disegni e stampe (sì, c'è anche il celeberrimo Il sonno della ragione genera mostri). Aggiungiamo che l'esposizione della fondazione elvetica è nata da una lunghissima gestazione complice l'anno pandemico con il Museo Nacional del Prado di Madrid.

È sufficiente poi sfogliare il corposo catalogo una di quelle pubblicazioni che per qualità di carta, riproduzioni e saggi di rado girano dalle nostre parti per vedere quanti e quali sono stati i musei prestatori, dall'America e dall'Europa (Uffizi inclusi), che hanno concorso al progetto e, cosa ancor più importante, soffermarsi sui ringraziamenti finali «a coloro che preferiscono rimanere anonimi». Ovvero ai tanti collezionisti, molti spagnoli, che ci concedono di ammirare opere di solito gelosamente custodite. Tra queste, spiccano Maja e Celestina al balcone e Majas al balcone, dipinti quasi gemelli di un metro e mezzo di altezza e un metro di larghezza, realizzati tra il 1808-12, di un acume tale nella rappresentazione dei gesti delle donne, incastonate in una precisa composizione formale, da essere state, secondo vari critici, d'ispirazione a Manet per il suo noto Balcone. Tra le rarità in mostra ci sono poi le scene di genere della Collezione Marqués de la Romana di Madrid e poi dipinti quasi indescrivibili come la Duchessa di Alba con la sua cascata di ricci neri, il vestito candido, il delizioso cagnolino di accompagnamento e quell'indice che punta su una scritta sulla sabbia (la leggenda narra che la nobildonna chiese al pittore di sistemarle il trucco mentre posava per lui e Goya confidò in seguito ad amici che quello fu la più piacevole pittura mai fatta).

Tornando all'eccezionalità della mostra, nata da un'idea di Sam Keller, che della Beyeler è direttore, e Isabela Mora, con la curatela di Martin Schwander, si potrebbe dire che è una «Goya-gonia», una summa dell'artista (1746-1828) che riuscì ad essere ammirato pittore di corte ma anche pioniere dell'arte moderna. Negli spazi della fondazione costruita nel 97 appena fuori Basilea da Renzo Piano su mandato del collezionista, mecenate e commerciante d'arte Ernst Beyeler, riscopriamo un Goya per certi versi inedito. Allestire una mostra di tale portata (con oneri assicurativi e complessità logistiche che si fatica a immaginare) su un pittore così noto e così squisitamente spagnolo in questo angolo di Svizzera che è anche crocevia geografico tra Francia e Germania ha senso solo se si ha la capacità di offrire uno sguardo nuovo.

I mastodontici dipinti di Goya così come le scenette di genere, le incisioni e i Capricci assumono una luce diversa dentro la Beyeler È come se si vedessero meglio, nella loro individualità, anche grazie a un allestimento arioso, impossibile da realizzare in musei nazionali dalle pareti sempre troppo affollate. Il punto non sta dunque solo nella qualità e nella quantità dei lavori esposti, ma nella volontà di evidenziare la complessità di un artista che ha vissuto negli stessi anni di Giovanni Battista Piranesi, di William Blake, del Marchese de Sade.

Non a caso ci accoglie nella prima sala lo straordinario El Pelele (1791, dal Prado), che a prima vista appare come una scenetta Rococò in cui un gruppetto di donne fa saltare su una tela una marionetta. Le tinte sono pastello, ma l'atmosfera non è per nulla allegra: il volto della marionetta, manichino senza nerbo, prelude già all'inclinazione di Goya per il lato oscuro della vita. Incontriamo nel percorso di visita molte gran dame e il biglietto varrebbe solo per il gusto di guardare negli occhi la malinconica Doña Antonia Zarate y Aguirre: la galleria dei ritratti femminili è quasi una mostra nella mostra con la chicca di Giovane donna che dorme, proveniente da collezione privata, seconda per seduzione solo alla celebre Maja vestida del Prado. Ci sono poi i ritratti reali, gli accademici, gli aristocratici rampanti, i dipinti a sfondo religioso, a testimonianza di quanto Goya, figlio di un semplice decoratore, fosse diventato presto maestro appezzato (nel 1789 fu nominato «pintor de càmara del rey»). Anche in questi soggetti apparentemente più tradizionali, però, riversa un estro noir tutto suo in un dettaglio delle vesti, nel lampo degli occhi che diventerà poi insofferenza totale verso i dettami accademici del tempo. L'acuirsi della sordità allarga la forbice tra Goya e il resto del mondo: l'artista si isola e realizza quadri di piccole dimensioni, disegni e incisioni dove compaiono storpi, anziani, feriti, streghe, scene popolari, corride e dove la follia, la violenza, il fanatismo predominano. È un Goya sempre più dark, quello che si sfoga ne I Capricci, incisioni di straordinaria modernità realizzati alla fine del Settecento, cui la mostra dedica un'ampia sezione. Struggente poi la sala delle incisioni Los desastros de la guerra (1811-1814) realizzate durante la guerra franco-spagnola: Goya, che non si schiera con nessuna delle due fazioni, ci conduce dentro l'abisso del male. In una saletta a parte, l'eco questo sfacelo è ben sintetizzato dall'artista contemporaneo francese Philippe Parreno che, su mandato della fondazione, ha confezionato un ipnotico film sulle Pinturas negras, i 14 capolavori del Prado troppo fragili per arrivare in Svizzera.

Goya - di cui in mostra non mancano significativi autoritratti non ha avuto paura di indagare la vita, specie nelle sue forme più banali, assurde e grottesche, consapevole che nessuna illuministica ragione, da sola, potrà mai salvarci.

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