Cultura e Spettacoli

L'amore lesbo eccita Cannes Polanski e Douglas delusi

Il film del regista tunisino ha scandalizzato per le torride scene di sesso tra le protagoniste. Eccezionalmente premiate anch'esse con la Palma d'oro

L'amore lesbo eccita Cannes Polanski e Douglas delusi

Abdellatif Kechiche, con La vie d'Adèle, è dunque il vincitore della Palma d'oro di questa edizione del Festival di Cannes. Tunisino di origine, nel ringraziare ha voluto salutare la «giovinezza tunisina», venuta fuori in occasione della «primavera araba», e la «giovinezza francese» che è la protagonista, al femminile, del suo film, una storia d'amore, molto carnale, fra una studentessa liceale e una studentessa universitaria. Il Gran premio è andato a Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen; quello per la regia a Heli, di Amat Escalante; il Premio della Giuria a Tale padre, tale figlio, di Hirokazu Kore-Eda, quello per la sceneggiatura a A Touch of Sin del cinese Sin Jia Zhanke. Fra le attrici, il premio per la migliore interpretazione è andato a Berenice Bejo, per Il Passato, mentre quello per il migliore attore ha visto il trionfo del vecchio Bruce Dern per Nebraska, di Alexander Payne.
Nell'insieme, in una cornice che ha visto per madrina Audrey Tatou, in lungo abito rosso, e come ospite d'onore un'applauditissima Kim Novak, le previsioni sono state per certi versi rispettate, cercando un onorevole compromesso fra storie tradizionali e nuove sperimentazioni. Resta l'amaro in bocca per l'esclusione di Michael Douglas, strepitoso nel ruolo di Liberace nel film Inside the Candelabra, di Roman Polanski e per il nessun riconoscimento a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che pure qualcosa avrebbe meritato.
Kechiche, i fratelli Coen, Hirokazu Kore-Eda, Jia Zhangke offrono una panoramica ampia e composita dello stato internazionale del cinema. La vie d'Adèle è piaciuto per come questa storia sentimentale è stata raccontata, con una telecamera praticamente attaccata al corpo delle due giovani protagoniste e ciò che ad alcuni è sembrata un'eccessiva lunghezza è stata evidentemente vista come un'esplorazione, fisica e psicologica, che necessitava appunto di tempo.
La giuria, presieduta da Steven Spielberg e composta da Nicole Kidman, Daniel Auteil, Ang Lee, Naomi Kawase, Vidya Balan, Christian Mungiu, Christoph Waltz, Lynne Ramsai, si è dovuta comunque confrontare con un cocktail cinematografico di tutto rispetto, ricco e pieno di diversità. Amore, sesso, violenza, ma anche storie di famiglia, di coppia, polizieschi, film d'azione, fantastici o in costume, in una cornice atmosferica che è stata, per una buona metà del festival, fra le peggiori degli ultimi anni. Per più giorni, vedere le star in tenuta da sera, sotto un cielo fatto di ombrelli, era un'immagine inusuale e per certi versi surreale.
Come ha ben spiegato Theirry Frémaux, delegato generale della manifestazione e sua anima cinefila ormai da molti anni, «non si deve credere che basti chinarsi a terra per raccogliere film degni di Cannes... Il cinema mondiale è in un momento di grande fragilità. I Paesi dell'Est Europa, l'Italia, la Spagna, il Nord Europa, sono tutti in panne, di là da singole realtà d'eccezione. Anche l'Africa è, cinematograficamente parlando, disastrata. La Francia, sostenendo il suo cinema, come del resto fanno gli Usa, salva il cinema di tutti gli altri».
Questo spiega perché fra le venti pellicole in competizione, dieci si dividano egualmente fra il tricolore francese e le stelle e strisce americane. È stato anche un festival in cui attori e attrici hanno avuto ruoli esemplari in cui cimentarsi. Il coté femminile in un susseguirsi di donne perdute, donne innamorate (anche di altre donne), donne redente e donne ribelli, spesso e volentieri con grandi esibizioni di corpi... Quanto ai maschi, c'è stato un po' di tutto, dallo psicopatico al ballerino handicappato, dall'omosessuale nascosto a quello fieramente esibito, dal macrò al vecchio disilluso, dal vampiro postmoderno al musicista fallito e, come già notato su queste pagine nei giorni scorsi, la Francia soprattutto non ha fatto altro che ruotare intorno al desiderio sessuale e ai mille modi per renderlo, una specie di danza che per molti versi spiega bene l'anima stessa di un Paese che, di fronte a una crisi economica molto forte e a una messa in discussione della propria «eccezion culturale», sembra soprattutto interrogarsi sulla caduta del desiderio e/o il suo riaccendersi in nome della trasgressione.
Non è un caso che l'altro ieri abbia fatto la sua passerella, la montée des marches del Palais, quel Dominique Strauss-Kahn il cui arresto statunitense, con l'accusa di stupro, rimbalzò qui a Cannes in un susseguirsi di polemiche e prese di posizione. La sua riapparizione, in compagnia di Myriam L'Aouffir, è coincisa con la proiezione del restaurato Plein soleil, di René Clément, film che, come abbiamo ieri ricordato, ha visto il trionfo di Alain Delon, vecchio leone indomito del cinema francese. «Come sei bello» gli hanno gridato le donne presenti in sala.

«Sì, ancora, non so bene come, ma lo sono ancora» ha risposto lui, da consumato e ironico Casanova.

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