di Giovanni Gavazzeni
Francesco Siciliani, organizzatore musicale fra i maggiori del secondo dopoguerra italiano, vertice artistico del Maggio Fiorentino, della Scala e dell'Accademia di Santa Cecilia, affermava di conoscere un solo direttore al quale poteva cambiare qualsiasi programma, anche cinque minuti prima dell'inizio di un concerto. Lorin Maazel. E aggiungeva che il repertorio di Maazel era talmente vasto da rendere un eventuale tentativo di coglierlo in difficoltà pressoché impossibile, se non inutile. D'altronde il numero di concerti e opere dirette da Maazel in tutti e cinque i continenti, ha toccato cifre a quattro zeri. La sua maestria tecnica è stata indiscussa da tutte le grandi orchestre con cui ha lavorato. «L'arte del dirigere - affermava - è incorporare in ogni movimento tutti gli aspetti della musica che di solito vengono discussi, tempo, dinamiche, equilibri fonici, articolando il discorso con la bacchetta». Bisogna però avere in mano i fondamentali del mestiere, come possedeva naturalmente Maazel: la leggerezza vellutata degli accompagnamenti e la capacità di organizzare il racconto musicale secondo architetture limpide. L'importante è che quando «un vero direttore prende in carica un'orchestra, il suono di quell'orchestra cambi. Ogni musicista desidera sapere cosa si richiede a lui in termini di ritmo, fraseggio e dinamiche. Quando questo succede, il musicista è a suo agio e può pensare alla bellezza, al suono e all'intonazione». Dopo una vita densissima - tre matrimoni e sette figli - e una carriera ottantennale, iniziata non pensando di dedicarsi alla direzione d'orchestra, Maazel ha dichiarato di ritenersi fortunato.
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