Massimiliano Parente
Silvia, rimembri ancor quel tempo in cui il Michele Mari, autore pregiatissimo di codesto sfortunatissimo paese illetterato e bifolco che da tempo si suole chiamare Italia, editò uno sfavillante libro intitolato Io venía pien d'angoscia a rimirarti? Non trovavasi più da lustri in niuna libreria né biblioteca circolante né dal mio fido Ranieri, e ora Einaudi l'ha riedito per i suoi tipi, per la gioia nostra e dei lettori tutti.
A rileggersi oggidì, esso è ancora operetta scintillante e magnifica, composta con la lingua cui eravamo adusi noi dell'Ottocento e nel presente tanto deturpata, tanto che pare proprio un componimento scritto nell'Ottocento, ai tempi nostri. Ove però costì io chiamasi Tardegardo Giacomo, per la verità un de' tanti nomi autentici che la mia sempre venerata madre Adelaide mi dette, assieme a una sfilza d'altri che nemmeno rammento. L'io facente narrazione è il mio fratello, Carlo, chiamato Orazio Carlo per il medesimo succitato giuoco o lume creativo del Mari, e ivi c'è agglomerata con abile grazia tutta la mia cara famiglia, e non solamente. Ivi trovasi altresì ogni mia ambascia, con il Carlo che m'osserva amoroso intanto che sono intento a studiar la luna, gli astri, la siepe che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude, e egli s'apprestava finanche a sbirciar li tomi da me appilati di Plinio, di Keplero, di Ovidio, di La Fontaine, e di chi più ne ha più ne assommi. Per dirti: tanto l'autore è un bravo facitore, quanto io non sapeva se aveva davvero vissuto quanto egli affabula con maestrìa, o se al contrario s'era fantasticato tutto egli di sana pianta.
Enziandio, t'assicuro, non v'è malignità alcuna, ma cotanto amore di poeta e letterato fine, tanto che io sorrideva tra me e me medesimo, e mi sentiva trovavasi di fronte a pagine brillanti e commoventissime, e ora che il signor Einaudi (o conte, o marchese, io non rimembro il titolo dell'editore e trovasi a leggere codesta mia recensione lo prego di non adontarsi per l'ignoranza, com'io non m'adondo d'esser chiamato Tardegardo dal Mari) l'ha riedito, io porterò ogni dì meco. Trattasi, in somma, di operetta sublime, che il Manzoni, per citarne uno dei più troppo ben valutati, mai avrebbe saputo fare.
Ch'io medesimo avrei iscritto dalla prima all'ultima locuzione, e che non di meno un poco, nel mio piccolo, qui tra le sudate carte, un poco al Mari invidio, e se potessi l'abbraccerei e gli sarei devoto come fosse un mio famigliare o quantomeno uno strettissimo parente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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