Cultura e Spettacoli

"Il politically correct ci imbavaglia: quanti sketch non potremmo più fare"

Le riflessioni dell'attore, al cinema con "Le voci sole": "Se sul set fingi di dare un calcio a un gatto ti attaccano come un delinquente"

"Il politically correct ci imbavaglia: quanti sketch non potremmo più fare" Esclusiva

“Ultimamente non si può dire più niente, è vero”: parola di Giovanni Storti. Sul set per le riprese del nuovo film del Trio, “Il giorno più bello della nostra vita” (nelle sale a Natale), l’attore milanese ha stroncato il politically correct. “Certi nostri sketch non si potrebbero più fare”, l’amara riflessione di chi ha scritto pagine importanti della storia della comicità italiana.

Questa è un'era dominata dal politicamente corretto, purtroppo...

“La comicità è un modo parallelo di vedere la realtà, un modo dissacrante e alle volte un po’ cattivo. La linea tra il garbo e il fastidio è sottile, ma penso che il politicamente corretto non sia applicabile alla comicità, anzi la distrugge. Noi abbiamo fatto delle cose che forse non si potrebbero più fare: al Circo di Paolo Rossi picchiavo Giacomo che era senza braccia e senza gambe, abbiamo 'sparato' agli animali e adesso ti ammazzerebbero, poi con il dottor Alzheimer abbiamo trattato temi spinosi in modo incredibile. Forse noi siamo riusciti, per fortuna o per garbo, a tenere un livello di comicità non così cattiva, pur trattando dei temi in modo cattivo. Però ultimamente non puoi dire niente, è vero. Ci sono tutti questi gruppi… Penso agli animalisti: io amo la natura più di ogni cosa, poi fingi di dare un calcio a un gatto e ti attaccano come se fossi un delinquente. Forse vogliono farsi vedere, non lo so, ma ci sono dei meccanismi che ti impediscono di dire qualsiasi cosa. E non lo ritengo giusto”.

Da oggi fino a mercoledì 6 luglio è nelle sale il film “Le voci sole” (distribuito da Medusa Film), il suo primo ruolo drammatico. Ed è un debutto che lascia il segno…

“È stato molto interessante. Con i due autori, nonché registi, Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, ho già lavorato a ‘Magic Alps’. Devo dire che mi piace sempre quando loro mi chiamano per un ruolo drammatico. Amo interpretare dei ruoli così, che non ho mai fatto. È vero che cerco sempre di mettere dentro qualcosa di buffo, ma fortunatamente loro mi frenano”.

L’ottimo film di Brusa e Scotuzzi racconta una caduta agli inferi…

“Il film ha due temi importanti, la delocalizzazione del lavoro e soprattutto il ruolo dei social, ovvero cosa possono creare nel bene e nel male”.

E lei che rapporto ha con la popolarità social?

“Io in realtà non sono sui social, anzi sono abbastanza distaccato, a parte qualcosina che faccio per i profili del Trio, come il progetto ‘Giova Loves Nature’, una serie di video dedicati alla natura”.

Continuerà a prestarsi a film drammatici?

“Assolutamente. Ora sto girando il film con il Trio, ma questi ruoli mi piacciono molto. Se mi arrivano delle proposte, le accetto molto volentieri”.

Parlando della pandemia, all’inizio si pensava che ne saremmo usciti migliori. Non pare proprio…

“Le prospettive erano buone. Quando c’è una crisi, se si va dalla parte giusta, si migliora. Ma da quello che si vede in giro… stiamo creando dei disastri. Era un’occasione per spingere di più verso la natura, per trovare delle situazioni energetiche, alimentari, lavorative e sociali migliori. Invece, per colpa della fretta, è peggiorato tutto”.

Tema a lei molto caro è il cambiamento climatico. Un dossier caldo, in tutti i sensi…

“Sì, è uno dei dossier più caldi. Ma se ne parla, si fa finta di parlarne, ma in realtà si va dall’altra parte. Si continua ad andare sulle fonti fossili, si pensa al nucleare, si pensa al carbone. Le emergenze vengono cavalcate in maniera contraria, purtroppo. Sì, sì, facciamo scorte, ma di che cosa se il mondo sta andando da un’altra parte? Dovremmo tener conto di tutte queste cose, ma invece no. Vuoi per stupidità, vuoi per ignoranza, vuoi per interesse, si va sempre nella direzione sbagliata”.

Ripercorrendo la sua carriera, di cosa è più orgoglioso?

“Del fatto che come Trio abbiamo sempre cercato di essere autonomi, cioè di fare le cose che ci piacevano, anche sbagliando, ma senza essere tirati da una parte o dall’altra”.



Un rimpianto, invece?

“C’è stata la possibilità magari di lavorare con dei miei miti, come Jackie Chan, e non l’abbiamo fatto per meccanismi un po’ sciocchi”.

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