Cultura e Spettacoli

L'estate senza musica dal vivo può spegnere tutto il settore

I tour vengono annullati e il futuro non promette bene. Gli appelli delle star. Ma c'è l'ipotesi di stop fino al 2021

L'estate senza musica dal vivo può spegnere tutto il settore

D'accordo, durante una pandemia la produzione musicale non è naturalmente una priorità pubblica. Ma il settore musicale inizia a diventarlo. Specialmente per quanto riguarda la musica dal vivo, i concerti, i tour. Intanto bisogna precisare, a scanso di equivoci, che qui non si parla delle sorti di qualche superstar ma della sopravvivenza di decine di migliaia di lavoratori che, dal mattino alla sera, si sono ritrovati senza un lavoro e senza le prospettive di riaverlo in breve tempo. Perciò gli appelli dei grandi nomi, da Vasco Rossi a De Gregori fino a quello contestato sui social di Tiziano Ferro a Che tempo che fa, hanno soprattutto lo scopo di iniziare a trovare un equilibrio di galleggiamento in una nave che rischia di inabissarsi. Giorno dopo giorno vengono annullati o rinviati tour e concerti (ultimi quelli di Emma e Benji & Fede all'Arena di Verona). Altri artisti restano tra «color che son sospesi» perché al momento non si sa nulla di certo per chi, come Vasco o come Ultimo o come Max Pezzali e Cesare Cremonini, hanno concerti fissati da un anno negli stadi italiani. E così vale per le popstar straniere come Billie Eilish o Paul McCartney o gli Aerosmith o ancora i Guns 'N'Roses attesi nei prossimi mesi negli stadi o nei festival italiani. Insomma, una situazione che non si era mai vissuta prima e alla quale erano tutti comprensibilmente impreparati. Ma ora? Secondo i dati raccolti da Enpals e dalla Fondazione Symbola, in questa fase ci sono tra 300.000 e 380.000 addetti del mondo dello spettacolo e della cultura che in Italia non stanno lavorando. Nel 2018 il rapporto stilato dalla Siae parlava di 7.794.399 presenze nel settore, di cui 82.641 erano organizzatori di eventi. Non sono numeri da poco. E, soprattutto, aiutano a spazzare via il pregiudizio che questa crisi possa danneggiare soltanto le ricche superstar che «tanto di soldi ne hanno abbastanza». Per capirci, la Live Nation, che è il colosso multinazionale capace di gestire tour imponenti come quelli di U2 o Pearl Jam o Madonna, taglierà mezzo miliardo di dollari e l'ad della società, Michael Rapino, ha annunciato di rinunciare al suo stipendio annuo (vabbé, sono ben tre milioni di dollari, ma è comunque un segnale).

Perciò non è un caso che uno come Vasco Rossi abbia chiesto a Giuseppe Conte quando ricominceranno i concerti. Vasco non parla certo soltanto per sé, ma parla come un artista che conosce bene quanta gente lavori in questo ambiente. «Premier ci faccia sapere», ha scritto su Instagram qualche giorno fa tra il serio e il faceto. Più serio che faceto. Di certo, se poi si leggono pareri come quello di Ezekiel «Zeke» Emanuel, bioeticista, oncologo e professore presso l'Università della Pennsylvania, è difficile mantenere l'ottimismo. In una tavola rotonda organizzata dal New York Times ha detto che «quando le persone affermano che riprogrammeranno concerti e grandi eventi per ottobre 2020, non ho assolutamente idea di come possano pensare che sia un'idea plausibile. Io ritengo che quelle saranno le ultime attività a ritornare. Realisticamente stiamo parlando dell'autunno 2021, non prima». Una doccia fredda. Alla fine, in questa fase di incalzante disorientamento, è difficile fare una previsione. Senza dubbio, però, è difficile che la ritualità dei concerti torni come prima. La stessa indispensabile pratica di «distanziamento sociale» è una sorta di negazione della ragione sociale di evento dal vivo. Non ci sarebbero stati Woodstock o il Live Aid o le migliaia di concertoni che per mezzo secolo hanno costruito la storia della musica leggera popolare e la leggenda di tanti artisti. Qualcosa che nessuno si sarebbe immaginato fino a poche settimane fa adesso minaccia quella che sembrava una abitudine consolidata. E mette in dubbio non solo gli investimenti milionari finora effettuati dai singoli artisti/promoter ma anche (soprattutto) i biglietti acquistarti dai fan. Come si sa, l'abitudine della prevendita si era spinta fino all'acquisto di tagliandi per l'ingresso a concerti fissati anche un anno dopo. Ora è scattata la delicata macchina dei rimborsi, degli spostamenti e delle ricollocazioni in un turbinio che è difficile da considerare nel complesso tanto è sfaccettato e disperso in tante realtà più o meno grandi. Comunque oggi, proprio quando di solito si lanciano i grandi eventi musicali estivi, ci si trova di fronte a una spianata di incertezza. Per carità, è un dato purtroppo comune.

E non è solo un problema di «canzonette». Riguarda più che altro centinaia di migliaia di posti di lavoro

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